Nuova oggettività, l’angoscia della Germania

Dix, Grosz, Schad, Sander e Beckmann raccontano in 140 opere la dura realtà della Repubblica di Weimar
Di Silva Menetto

di Silva Menetto

Ci sono mostre che servono a gratificare il nostro gusto estetico e mostre che segnano, che obbligano a riflettere, a rileggere la storia attraverso l’arte. La mostra che apre il primo maggio al Museo Correr di Venezia fa parte di queste. “Nuova oggettività. Arte in Germania al tempo della Repubblica di Weimar. 1919 - 1933” apre uno spiraglio interessante su uno spaccato del nostro passato recente, quei quattordici anni che trascorsero tra la fine della Prima guerra mondiale e l’avvento del nazismo, gli anni della Repubblica di Weimar, il primo esile tentativo di democrazia nella storia tedesca.

Il baratro che si apre davanti alla Germania sconfitta, segna profondamente tutta una generazione di artisti (molti dei quali hanno combattuto al fronte) in cerca di un nuovo modo di rappresentare la realtà. L’arte non è più un mezzo per raggiungere la salvezza, diventa piuttosto il luogo in cui l’angoscia, lo spaesamento, il vuoto di orizzonti e di obiettivi prende forma. E mentre in quegli anni in Italia il “realismo magico” di Donghi, Casorati e anche di De Chirico cattura l’immaginario collettivo e entra nelle collezioni dei privati, in Germania i pittori della Nuova oggettività non vengono apprezzati allo stesso modo: la denuncia del drammatico stato economico, sociale e politico in cui la Germania versa, espressa in maniera tanto cruda, graffiante e scomoda, non appassiona i collezionisti. Dell’arte tedesca di quel periodo si preferisce il Bauhaus, l’innovazione, l’architettura e il design. Ma in quei quattordici anni intensi e complessi che portano dal disastro della guerra fino alla dittatura, c’è un gruppo di artisti tedeschi che pur non raccogliendosi sotto l’egida di un manifesto collettivo tenta di interpreta la realtà con una pittura talmente oggettiva che incide come un bisturi, asettica fino all’imbarazzo in una descrizione priva di sentimenti, grottesca o aggressiva.

Tra le 140 opere esposte al Museo Correr dal Los Angeles County Museum of Art (Lacma) in collaborazione con la Fondazione Musei Civici di Venezia, spiccano i nomi di artisti famosi come Otto Dix, George Grosz, Christian Schad, August Sander e Max Beckmann, a fianco di nomi di artisti meno noti ma non meno interessanti tra cui Hans Finsler, Georg Schrimpf, Carl Grossberg e Aenne Biermann.

Industrializzazione spinta, sviluppo tecnologico rapido, ascesa della borghesia post-bellica si scontrano con la disoccupazione dilagante, la corruzione della politica, la prostituzione, il mercato nero, l’estremismo. Gli artisti del nuovo realismo ritraggono tutto questo ostentando un distacco dietro al quale si cela la sospensione del giudizio etico sul periodo storico; molti di loro hanno anche creduto al sogno di una repubblica democratica ma di fronte alla direzione in cui la società tedesca sta andando, traspare il disincanto. L’allestimento (a cura di Daniela Ferretti) riserva un continuo confronto tra pittura, grafica e fotografia, in ciascuna delle cinque sezioni tematiche in cui la mostra è suddivisa. La rassegna sulla Nuova oggettività - voluta e proget. tata dalla direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia Gabriella Belli - ha radici lontane: dopo più di sei anni di gestazione e di studi approfonditi, il risultato non solo è degno di nota ma porta in dote un prezioso catalogo curato da Stephanie Barron (curatrice della mostra e senior curator del Lacma) e Sabine Eckmann, che contribuisce a collocare la Nuova oggettività nella più ampia storia del realismo. La mostra rimarrà al Museo Correr fino al 30 agosto 2015 per poi sbarcare ad ottobre a Los Angeles, al Lacma, e sarà la più ampia e esauriente mai organizzata negli Stati Uniti sulle tendenze artistiche della Repubblica di Weimar.

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