Nuovo cinema italiano «Segnali incoraggianti da una stagione fortunata»

Venezia 74 sarà la Mostra del rilancio del cinema italiano? Data per morta dodici mesi fa, la produzione di casa nostra sembra vivere un improvviso risveglio, testimoniato da quattro film in concorso...
Venezia 74 sarà la Mostra del rilancio del cinema italiano? Data per morta dodici mesi fa, la produzione di casa nostra sembra vivere un improvviso risveglio, testimoniato da quattro film in concorso e da molte altre opere presenti nelle varie sezioni. Ma è davvero cambiato tutto in così poco tempo? Il direttore della Mostra Alberto Barbera sorride: «Non vorrei creare troppe aspettative. Tuttavia i segni del cambiamento sono evidenti. Nel corso della selezione, circa 1800 lungometraggi e altrettanti corti, abbiamo trovato diversi esordi di qualità e soprattutto opere di registi che dopo un debutto dignitoso hanno fatto un secondo o un terzo film maturo e completo. Questo è un segno di vitalità che mancava. Più in generale, senza gridare al capolavoro, abbiamo riscontrato un numero elevato di film di buona qualità, quando proprio l’assenza di un prodotto medio era il dato più sconfortante. Non possiamo prevedere il futuro, ma la voglia di cambiare modelli narrativi, superando la commedia, e alternare linguaggi diversi, il desiderio di essere più internazionali, il ricambio generazionale e, non ultima, la nuova legge per il cinema che si spera sia pronta entro fine anno, sono tutti elementi che spingono verso l’idea che non si tratti solo di una stagione fortunata».


Sarà affrontato il tema dei migranti. Ci saranno altri temi ricorrenti?


«Certo, a cominciare da quello della famiglia. Nella crisi generale dei valori, è sempre il primo nucleo messo in discussione, e i registi lo recepiscono, in modo spesso drammatico, a volte addirittura spettrale e angosciante. Quanto alle migrazioni, direi che almeno un terzo della selezione ha trattato, direttamente o indirettamente, questo tema, passando dalle cause dei profughi agli effetti sulle società occidentali, alternando il documentario alla fiction, con particolare attenzioni ai conflitti che questo fenomeno genera».


Dopo la filosofia new age dello scorso anno, sembra che in questa edizione ci sia più attualità, e ci siano anche più documentari.


«Non è solo una scelta estetica, è il cinema che sta cambiando. Nessuno fa più i documentari come un tempo, c’è grande contaminazione, si inseriscono brani di finzione, così come la fiction recepisce la realtà attraverso inserti, filmati, telegiornali. Lo streaming ormai favorisce la diffusione del doc, pensiamo a Netflix».


A proposito di Netflix, c’è un po’ di riluttanza ad accettarne le produzioni, perché non destinate alla sala.


«C’è poco da obiettare, è cinema a tutti gli effetti. Il prossimo film di Martin Scorsese e dei fratelli Coen verrà prodotto da Netflix: magari andranno in sala, ma se non lo distribuiscono resta comunque cinema. Piuttosto bisogna educare i giovani a non pensare che il cinema sia solo streaming e smart: le sale continueranno a esistere».


E la realtà virtuale?


«Anche questa è una novità, in un’area che sembra fatta apposta, 500 mq a 30 metri dalla riva del Lido, nell’isola del Lazzaretto. Al di là dei 50 posti su prenotazione, degli stand-up e delle installazioni, resta l’apertura a un nuovo linguaggio e a un altro cinema».


Torna anche il cubo rosso: il Cinema nel Giardino cambia?


«Quest’anno è più vario, sono proposte che, pur non avendo il senso autoriale e di ricerca di Orizzonti, comprendono opere eterogenee, spesso innovative nel linguaggio, anche di registi affermati».


Il clou sarà durante il weekend: e dopo?


«Quest’anno abbiamo cercato di spalmare di più il programma. Scontata la presenza degli americani nella prima metà della Mostra, perché poi richiamati a Telluride e a Toronto. Ma nella seconda parte ci sono appuntamenti importanti, da Aronofsky a Kechiche, da John Woo agli italiani».


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