Orchidee e malvagità Delbono porta in scena la bellezza che inganna

Da domani a Padova il nuovo spettacolo dell’attore ligure «Racconto un tempo in cui vero e falso non si distinguono»
Di Nicolò Menniti-ippolito

Pippo Delbono è uno dei personaggi teatrali italiani più noti all’estero. Erede di Pina Bausch, molto amato in Francia e spesso premiato dai critici, negli ultimi anni è riuscito a convincere con i suoi spettacoli anche un pubblico più tradizionale, quello degli abbonati dei grandi teatri italiani. Da domani a domenica sarà al Verdi di Padova con il suo ultimo lavoro, “Orchidee”, mentre giovedì alle 16 incontrerà il pubblico in un appuntamento organizzato con l’Università di Padova.

Il suo teatro nasce intorno a immagini, a musiche, a temi, ma anche a esperienze personali. Nel caso di Orchidee il cuore della vicenda sembra essere la morte di sua madre. È così?

«In parte si, ma io preferisco cominciare proprio dal titolo, Orchidee, perché indica il senso di tutto il lavoro. Le Orchidee sono fiori bellissimi, ma anche molto particolari, malvagi, ingannevoli. Spesso le orchidee sembrano vere ma sono in realtà finte. Mi sembra che la loro immagine racconti bene un tempo come il nostro, pieno di inganni e in cui vero e falso si confondono. Un tempo in cui manca l’autenticità o questa non è più riconoscibile».

Il pubblico del teatro tradizionale rimaneva spesso interdetto di fronte ai suoi spettacoli, ma ormai la sua presenza nei teatri maggiori è costante. Problema superato?

«Credo di si, almeno per molti. Ho ricevuto proprio ieri la email di una signora che ci teneva a dire che lei era una abbonata del turno A, quello più tradizionale, eppure mi ringraziava perché avevo scioccato gli spettatori del suo turno. Ma mi diceva anche che accanto a lei qualcuno piangeva per la commozione e molti altri erano colpiti. Certo, se ci si pone di fronte ai miei spettacoli con la voglia di capire tutto, non se ne viene a capo. Ma se ci si lascia andare alle emozioni non c’è nessun problema, al massimo ci può essere qualche momento di impatto più forte, ma vedo che poi la poesia, le immagini passano agli spettatori».

Anche perché c’è molto teatro in questo spettacolo.

«Sì, non si può pensare di buttare via Shakespeare o Pirandello. Ci sono eccome. Estremamente condensati ma in questo mio lavoro ci sono “il giardino dei ciliegi” e “Giulietta e Romeo”, ci sono Pirandello e Brecht e spesso è proprio il pubblico più tradizionalista, quello che conosce bene la storia del teatro, ad accorgersene e a riconoscere una tradizione che per me è fondamentale, anche se la inglobo nel mio mondo e a modo mio. Non bisogna dimenticare che un testo come “I sei personaggi” era realmente rivoluzionario nel suo voler trasformare i personaggi in persone. Anche per me è così. Sul palcoscenico ci sono sempre persone».

Infatti si parla spesso del suo teatro come di una avventura umana e teatrale insieme.

«Oggi abbiamo necessità di grande umanità, perché in giro non ce n’è. Però non vorrei enfatizzare questo. È vero che nei miei spettacoli ci sono tre attori che hanno storie diverse da quelle abituali, Bobo per esempio viene da 45 anni di manicomio, ma anche loro sono sul palcoscenico solo perché sono capaci di produrre poesia. Il mio teatro cerca di trasmettere umanità ma è pur sempre una macchina in cui la precisione e il ritmo sono fondamentali. Lo spettacolo deve durare sempre un’ora e cinquanta o poco più, e i tempi vanno rispettati al secondo perché solo così la trasmissione dell’emozione - e quindi della umanità - avviene realmente.

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