Padova. Calabrò, pioniere dei trapianti, vive con un cuore nuovo«Donare è un atto d’amore»

Francesco Calabrò, 73 anni, è stato chirurgo dal 1971 al 2013. Era nell’équipe che fece la prima operazione di polmone in città 

PADOVA. Il mondo a cui siamo abituati spesso sembra anche l’unico possibile, fin quando un evento improvviso e imprevisto ribalta lo scenario. È quello che è accaduto al professor Francesco Calabrò, che da chirurgo pioniere dei trapianti, si è trovato trasportato d’urgenza su un elicottero con il cuore a pezzi - letteralmente - la vita appesa a un filo per dieci giorni, attaccato a una macchina.

E la stessa vita salvata grazie al trapianto di cuore. Una storia a lieto fine, come lo sono quelle delle tante persone salvate grazie a un trapianto. Oggi Calabrò ha 73 anni e gode di ottima salute. E la sua storia è ideale per celebrare i vent’anni della legge che ha fatto del sistema di trapianti in Italia uno dei migliori d’Europa.

Professore, com’è stato il passaggio da medico a paziente?

«Ho lavorato come chirurgo dal 1971, dopo la laurea, fino al 2013, prima a Padova e poi a Verona. Nel 2003 sono diventato vicario del Centro regionale trapianti di cui sono diventato coordinatore nel 2008, ruolo che mi ha dato la grande opportunità di organizzare il sistema di gestione delle donazioni di organi, degli espianti e degli interventi. L’ipotesi di passare dall’altra parte della barricata, di essere un paziente, non mi sfiorava. Mi sono sempre sentito bene e davo per scontato di essere perfettamente sano. Invece mi sono ritrovato seriamente malato, ho rischiato la vita».

Come si è rapportato con i colleghi che l’hanno operata?

«Ho fatto il paziente, rimettendomi totalmente nelle loro mani, con piena fiducia. Il trapianto di cuore lo ha eseguito il professor Gino Gerosa, non avevo nulla da temere nelle sue mani. In ospedale a Padova sono arrivato con un trasporto d’urgenza in elicottero con il cuore davvero malconcio. Mi hanno tenuto in vita dieci giorni attaccato a una macchina che mi assicurava una doppia assistenza cardiaca. E fortuna ha voluto che si rendesse disponibile un cuore».

Nei giorni scorsi è stato eseguito in Azienda ospedaliera un doppio trapianto di polmone, la specialità di cui è stato pioniere.

«Il 25 maggio 1995 il professor Francesco Sartori effettuò il primo trapianto di polmone a Padova: io ero il suo secondo in sala operatoria e all’epoca Federico Rea, oggi direttore della Chirurgia toracica, era stato incaricato dell’espianto. Io poi andai a Verona. Voglio sottolineare che il professor Rea ha avuto un ruolo determinante nel fare di Padova il primo centro italiano per trapianti di polmone, giocando un ruolo cardine dal punto di vista scientifico e culturale».

Come vive oggi da trapiantato?

«Dal punto di vista medico sono in buona salute, mi sono ripreso molto presto dopo il trapianto e, ingenerale, ho ho maturato una visione più positiva della vita. Da medico ho sempre molto interagito con i pazienti ritenendo fondamentale un rapporto empatico. Oggi sono presidente dell’associazione Acti Padova dedicata ai cardiotrapiantati e sono responsabile scientifico di Acti nazionale. È un modo per stare dalla parte del malato, non in termini assistenziali, ma per cogliere le esigenze, le necessità di chi ha subito un trapianto. L’operazione è un evento, ma bisogna pensare anche al dopo. Con l’associazione creiamo occasioni di confronto e ascolto fra pazienti e specialisti».

Dal 6 all’8 novembre a Roma si celebrano i vent’anni della legge 91 del 1999 che ha dato vita al Centro nazionale trapianti creando la banca dati per la raccolta della volontà alla donazione degli organi. Com’è la situazione oggi rispetto alle donazioni?

«Senza donatori non si fanno trapianti e oggi i trapianti di polmone salvano la vita a chi versa in gravi situazioni determinate da fibrosi cistica o fibrosi polmonare. Lo stesso vale per il cuore e gli altri organi. È importante tenere alta la guardia sul fronte dell’informazione e della sensibilizzazione rispetto alla solidarietà. Donare non costa nulla, è un atto d’amore. L’appuntamento a Roma sarà quindi l’occasione giusta per premere su questi tasti».

Qual è secondo lei il futuro dei trapianti?

«È sempre più importante il lavoro di équipe, non solo di medici ma anche di chi si occupa di tecnologie e biotecnologie, al fine di trovare soluzioni alternative agli organi. Credo che per almeno altri dieci anni non ci sarà alternativa all’organo umano, ma ci sono importanti gruppi soprattutto negli Stati Uniti che stanno lavorando per arrivare alla produzione di organi artificiali. Anche Padova porta avanti un importantissimo progetto con il professor Gerosa e il cuore bionico. È una frontiera che va assolutamente sostenuta». 


 

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