«Padova capitale del Risorgimento i veneti orgogliosi di essere italiani»
«Padova fu una delle capitali italiane del Risorgimento grazie all'università, autentico motore ideologico e politico dell'insurrezione contro gli austriaci. La storia non si cancella e basta entrare nella sala bianca del Pedrocchi per capire cosa accadde l'8 febbraio 1848. Sul muro ci sono ancora i fori delle pallottole dello scontro in cui morirono gli studenti Giovanni Anghinoni e Giovanni Battista Ricci. La rivolta del Bo anticipò le 5 giornate di Milano e i veneti nel Risorgimento hanno avuto un ruolo decisivo non solo con la Repubblica di Venezia di Daniele Manin, ma con un movimento d'opinione d'élite che sposò gli ideali di Cavour, Mazzini e Garibaldi. Certe polemiche contro i 150 anni dell'unità d'Italia non hanno proprio fondamento». Andrea Colasio, assessore alla Cultura, ex deputato Pd e sociologo con cattedra alla Sorbona di Parigi si è presentato puntuale all'appuntamento delle celebrazioni. La prima lettera porta la data del 27 agosto 2010 ed è indirizzata ad Antonio Finotti, presidente della Fondazione Cariparo; 7 cartelle dense di appuntamenti e la richiesta di finanziamento di un volumetto da distribuire agli studenti. Missione compiuta: da domani si alza il sipario.
Assessore Colasio, mentre la Provincia ha costretto il professor Mario Bertolissi a dimettersi dal comitato per i 150 anni dell'unità d'Italia, il Comune di Padova ha addirittura stampato un libro: come mai?
«Perché è nostro dovere tramandare la memoria storica attraverso i luoghi, i fatti e i personaggi che hanno portato l'Italia a diventare uno stato unitario nel 1861 e poi una grande nazione democratica in Europa, dopo secoli di divisioni. Ai ragazzi vanno spiegati i nobili ideali del Risorgimento e spero che nelle scuole si avvii una riflessione critica. Le racconto un aneddoto. Nel comodino conservo una copia del libro Cuore di De Amicis e spesso rileggo la novella del Piccolo patriota padovano, che narra la vicenda di un bambino povero venduto dai genitori ad una compagnia di saltimbanchi. Il bimbo scappa e si imbarca su un battello per Genova e a tre compagni d'avventura racconta la sua storia e questi gli offrono delle monete, ma lui le restituisce quando i tre stranieri dicono che gli italiani sono sporchi e poco onesti».
De Amicis è finito in soffitta e della Piccola vedetta lombarda, del tamburino sardo e del piccolo patriota padovano non si ricorda più nessuno. Perché Padova fu così importante nel Risorgimento?
«Perché grazie alla sua prestigiosa università poteva contare su un'élite cosmopolita, figlia dell'illuminismo francese e tenace avversaria del regime dispotico austriaco. Il Bo, lo Studio veneto, venne equiparato agli altri atenei dell'impero e quindi sottoposto alla censura più rigida con il divieto di creare associazioni. La prima risposta fu lo sciopero del fumo per non pagare all'imperatore la tassa sui sigari e l'8 febbraio 1948 ci fu lo scontro con le truppe austriache. L'università fu chiusa fino al novembre 1850 e poi ancora nel 1859 ma l'ideale risorgimentale diventò la ragione di vita di un'intera generazione».
Padova capitale triveneta dei moti carbonari, della Giovane Italia di Giuseppe Mazzini?
«Sì. La nostra città, grazie al suo ateneo, fu il crocevia della cospirazione antiaustriaca, dei comitati segreti nazionali e d'azione guidati da Mazzini e Garibaldi. E i protagonisti hanno davvero segnato la storia: si tratta di Alberto Cavalletto, ingegnere idraulico, liberale, combattente della Repubblica di Venezia, imprigionato dagli austriaci e poi senatore del regno d'Italia. Un leader politico, alla pari di Vincenzo Stefano Breda. Nobili figure di donne come Teresina Cibele Legnazzi, cui il poeta Giacomo Zanella dedicò una poesia. E ancora: Andrea Meneghini, primo sindaco di Padova dal 1866 al 1870 e il poeta Arnaldo Fusinato. Infine i garibaldini: Tonina Marinelli, padovana e unica donna imbarcata con i Mille a Quarto di Genova, che si travestì da uomo per partecipare ai combattimenti. Nelle Camicie rosse si arruolarono undici universitari e un ragazzo di Chioggia, Giuseppe Marchetti: aveva solo 11 anni».
Ma a cambiare il destino di Padova fu però Vincenzo Stefano Breda, le cui fortune sono state dissipate da enti pubbliche...
«Certo. Breda nel 1872 fondò la Società veneta costruzioni pubbliche e nel 1884 le Acciaierie di Terni, fu cinque volte deputato e poi senatore e avviò un dialogo con Carlo Cattaneo, padre del federalismo, su un tema molto concreto: i collegamenti ferroviari lungo la penisola dovevano attraversare il cuore delle città proprio per favorire lo scambio tra popolazioni con lingue molto diverse alla ricerca del lavoro. Breda merita un posto nella storia moderna perché ha avviato l'industrializzazione in Italia: ha creduto nel Risorgimento e nell'Italia unita».
C'è chi sostiene che il Veneto è stato annesso manu-militari all'Italia dei Savoia con il plebiscito del 1866: fu una truffa?
«Non ha alcun senso parlare di Veneto annesso al Piemonte. Garibaldi ha unificato l'Italia e l'ha consegnata al re ma non c'erano le condizioni storiche per avviare modelli di governo diversi: sia la repubblica di Mazzini che il federalismo di Cattaneo sono stati sconfitti dal pragmatismo di Cavour. Certo, il Risorgimento fu movimento d'elite ma il Veneto ha giocato un ruolo da protagonista».
E quindi alla Lega che parla di identità veneta calpestata da Cavour e dal re lei come ribatte?
«E' una polemica strumentale e demagogica in chiave antiromana, per ottenere il massimo consenso. L'identità veneta non esiste come dimostrano i sondaggi demoscopici. Alla domanda: lei è orgoglioso di essere italiano, veneto ed europeo vince sempre l'appartenenza all'Italia. Il Veneto ha un'identità plurima e nei secoli è stato crocevia di culture diverse. Considero grave l'astensione della Lega dalle celebrazioni dei 150 anni dell'unità d'Italia, ma a Padova siamo molto orgogliosi della nostra epopea risorgimentale».
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