PADOVA HUB D’INNOVAZIONE

Rizzuto: «Il dialogo tra il Bo e le aziende può crescere. Creiamo un polo del biotech e farmaceutica»
Di Silvia Quaranta
PD 28 luglio 2003 G.M...Bò , facciata ..(MILANESI) Facciata del Bò - MILANESI
PD 28 luglio 2003 G.M...Bò , facciata ..(MILANESI) Facciata del Bò - MILANESI

di SILVIA QUARANTA

Biotecnologie, farmaceutica e scienze della vita: sono questi i principali settori su cui il nuovo rettore del Bo, Rosario Rizzuto, intende puntare nei prossimi anni. Quanto alle aziende, l’invito è a entrare in ateneo, a fare scouting tra le risorse a disposizione per trovare un terreno comune su cui lavorare. Fra le proposte a medio termine avanza anche quella del parco tecnologico, per cui Rizzuto sta cercando partner e stakeholders.

Professore, perché le scienze della vita?

«È un’area del sapere dove conta l’idea più che la costruzione di un’industria con alti costi, quindi perfetta per il trasferimento tecnologico: dove ho un vantaggio scientifico e culturale ci posso costruire innovazione. Mi stupisce, anzi, che l’area biologica e medica non abbia già una fiorente industria biotecnologica intorno, ma non c’è la tradizione. E identifico due debolezze: da un lato l’incapacità dello scienziato di pensare allo sfruttamento economico; dall’altro la mancata consapevolezza del mondo produttivo che questa è un’area di potenziale grande sviluppo. Certo, non è così in tutti i settori: nei dipartimenti di Economia, Ingegneria, Ingegneria civile, Elettronica, Industriale e Gestionale hanno rapporti solidissimi con le imprese. Il trasferimento di innovazione direttamente dall’Università all’impresa c’è. Ed anche nell’altra direzione: dall’impresa alla ricerca consolidata. Le imprese sanno chi è l’interlocutore e programmano ricerca insieme. Ci sono settori maturi, diciamo, ed altri che devono crescere».

Resiste un po’ di pregiudizio, in alcune aree del mondo accademico?

«Sicuramente dieci o vent’anni fa c’era. C’era la convinzione che l’industria deturpasse la bellezza della scoperta, e che la bella ricerca non è commerciabile. Oggi però è diverso: il mondo intero ci dice che la ricerca acquista valore, non ne perde, se diventa motore di sviluppo economico, o se permette di migliorare la qualità della vita. L’università “torre d’avorio” che difende la sua purezza non è più attuale. Da non aver più pregiudizi culturali a conoscere e saper valorizzare l’aspetto economico, però, il passaggio non è immediato: bisogna avere l’umiltà di riconoscere, ad esempio, che un’idea brillantissima a volte non ha applicazione commerciale. Altre scoperte meno sfavillanti dal punto di vista del progresso conoscitivo, invece, possono avere applicazioni pratiche e immediate sul mercato. Questa capacità di identificare quello che realmente è il trasferimento tecnologico all’interno della ricerca scientifica richiede esperienza. E non aiuta il fatto che le imprese non hanno cognizione di cosa si fa nei nostri laboratori».

Cosa potrebbero fare le aziende?

«Se fosse il tessuto produttivo ad andare a cercare gli avanzamenti scientifici in ambiti precisi, questo aiuterebbe i docenti a riconoscere gli elementi di innovazione. Se fossero gli industriali a fare scouting dove l’innovazione nasce per noi sarebbe più semplice. Ma oggi non è così, è un campo da costruire ed è una sfida. Così è anche per il settore culturale: le aree umanistiche e sociali sono anch’esse un grande patrimonio. A volte si pensa al trasferimento tecnologico come a un materiale, una nuova procedura industriale, senza considerare che è innovazione tecnologica anche la cultura. Poter utilizzare a pieno e dare valore commerciale alla bellezza artistica del nostro territorio è innovazione. Anche lo studio dei processi amministrativi o i rapporti in ambito sociale hanno valore per le imprese: l’università è un generatore di conoscenza in tutti gli ambiti del sapere».

Lei invece cosa pensa di fare? Ha già lanciato l’idea di un “patto” con le imprese, e gli industriali hanno risposto. Ora?

«Ho nominato un prorettore al Trasferimento tecnologico, il professor Fabrizio Dughiero, che ha iniziato a discutere con gli attori citati nell’ottica di un percorso di integrazione. Ci siamo dati tre mesi per mettere sul tavolo una serie di progetti. Stiamo lavorando su come dare strumenti nuovi. Ho nominato anche un delegato a progetto sulle biotecnologie, Margherita Morpurgo: la volontà è quella di investire in questo settore. A 100 giorni dall’inizio del mandato faremo il punto della situazione. L’obiettivo è quello di far diventare Padova sempre più l’hub dell’innovazione in Italia».

In campagna elettorale si era parlato anche di parco tecnologico.

«Ogni azione deve avere la sua giusta casa e degli strumenti efficaci. Il parco scientifico è nei nostri piani: ne stiamo discutendo con tutti coloro che possono investire in questa iniziativa, dalla Fondazione Cariparo alla Camera di commercio. L’idea è quella di mettere a sistema le molte iniziative già in campo in modo che siano integrate. La grande impresa, per noi, è dare innovazione al territorio e l’innovazione è fatta di tante azioni».

A proposito di territorio, c’è qualche progetto per la città?

«Certo, vogliamo ampliare l’offerta culturale che portiamo a Padova. Siamo già una presenza viva, non partiamo da zero e, anzi, siamo molto cresciuti. Pensiamo a cosa è diventato l’Orto Botanico con il nuovo giardino biodiversità: un’attrazione che ha già battuto afflussi record. Vorremmo che questi esempi si moltiplicassero, attraverso progetti e programmi da comunicare».

Allo scadere dei cento giorni?

«Sì. Presenteremo tutto dopo Natale».

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