Padova, padre-padrone marocchino impone il velo alla figlia

L’operaio marocchino è agli arresti domiciliari per maltrattamenti anche nei confronti della moglie: già fissato il processo

PADOVA. Doveva indossare il velo, come la mamma. E doveva obbedire e basta, accettando silenziosa qualsiasi ordine o imposizione. E se non rispettava quei diktat, erano umiliazioni continue nel migliore dei casi; sempre più di frequente botte, ceffoni, calci tanto da finire al Pronto soccorso. «Prima o poi ti ucciderò anche se andrò in prigione non importa... Se non fai quello che dico, ti attacco per il collo a un cavo per l’elettricità e ti faccio morire folgorata»: chi le urlava di continuo quelle parole era il padre, A.S. 46 anni, marocchino d’origine, operaio con residenza a Padova nel quartiere Arcella.

Lo scorso maggio è stato allontanato dalla casa familiare in seguito a un provvedimento sollecitato dal pm Orietta Canova e autorizzato dal gip Cristina Cavaggion. Martedì scorso la misura cautelare è stata aggravata. E l’operaio nordafricano è finito agli arresti domiciliari nella casa di un connazionale nel quartiere San Pio X: è accusato di maltrattamenti continuati e aggravati anche perché avvenuti alla presenza dei figli più piccoli, costretti ad assistere al pestaggio della sorella 14enne e della mamma, 37 anni, una donna che vive secondo la tradizione del proprio paese.

Eppure quest’ultima ha trovato la forza per ribellarsi ai soprusi del coniuge, dopo aver sopportato per anni l’inferno domestico. E ha deciso di costituirsi parte civile (a tutelarla l’avvocato Pierilario Troccolo), nonostante la riprovazione di parenti e amici pronti a difendere il marito violento.

Il 30 aprile scorso la Squadra mobile si attiva: a segnalare il caso è la Clinica pediatrica-Unità di crisi per bambini e famiglie dell’Azienda ospedaliera che è centro di riferimento regionale per la diagnostica del bambino maltrattato. Il 21 marzo, infatti, la 14enne era stata accompagnata in ospedale ferita. Lei stessa aveva raccontato che il padre l’aveva trascinata per i capelli, colpita al volto con calci e schiaffi nonché con una scarpa in testa, spinta contro l’armadio e gettata a terra. Il motivo? Era uscita di casa con il permesso della mamma ma non del padre, fuori con i fratellini. Non era la prima volta che l’aggressività dell’uomo era esplosa con prepotenza. In un’altra occasione A.S. era entrato nella camera della figlia svegliata di soprassalto, trascinata giù dal letto e picchiata brutalmente. Perfino a scuola il padre non le aveva risparmiato uno schiaffo davanti ai compagni.

Poco alla volta è stata ricostruita la storia di quella violenza familiare: la mamma ha ammesso che il marito aggrediva spesso la figlia. E che anche lei era presa di mira fin dal 1999, anno di nascita della ragazzina, mentre la vita quotidiana scorreva in un clima di intimidazione e di sopraffazione, senza alcuna libertà di movimento: il marito l’aveva privata del passaporto. E guai se avesse parlato, c’era l’obbligo del silenzio su quello che accadeva tra le pareti domestiche. Anzi, c’era già stata la promessa «di fargliela pagare» perché aveva accompagnato la figlia al Pronto soccorso. Inutile la convocazione in ospedale del marito-padre per chiedere spiegazioni sulle percosse riscontrate nella figlia: «Le ho solo dato qualche schiaffo», la giustificazione.

A maggio è scattato l’allontanamento di A.S. dalla casa oniugale. Invano. A.S. ha continuato a telefonare alla figlia. Poi si è presentato in varie occasioni in casa, insistendo per riunificare la famiglia e tornare insieme alla moglie, non esitando a schiaffeggiare la ragazzina come confermato da alcuni vicini. Così l’avvocato Troccolo ha sollecitato l’adozione di una misura cautelare più pesante a tutela della moglie e dei figli. Misura accolta ed eseguita. Intanto è stato fissato il giudizio immediato per il padre-padrone che dovrà versare 600 euro al mese per il mantenimento della famiglia: il processo sarà celebrato il 6 novembre davanti al giudice Bergamasco.

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