Padova, Pediatria senza spazio: ogni anno 1.500 bambini ricoverati tra gli adulti

PADOVA. Un falò dai miasmi ormai soffocanti che ancora, dopo oltre vent’anni, si alimenta con le carte. Per ogni atto che segna un faticoso passo in avanti verso la realizzazione della Pediatria, uno dei due grandi tabù della sanità padovana, ecco un documento – un esposto in Procura o una lettera a un ministro – che invoca la sospensione del progetto per cui, ormai, ci si appresta all’assegnazione dei lavori.
A iter pressoché concluso, il dibattito continua, insomma, a opporre la difesa del patrimonio culturale alla cura dei bambini. E intanto, proprio per questo, ogni anno 1.500 di questi piccoli grandi malati ricevono cure – per lo più chirurgiche – in un reparto per adulti perché a Pediatria non c’è posto. Cento di loro hanno meno di un anno, cinquecento sono sotto i cinque.
L'ospedale dei bambini
«La Pediatria non è un reparto, ma un vero ospedale di terzo livello all’interno di un grande ospedale, che centralizza pazienti ad alta complessità da tutto il Veneto e dall’Italia» spiega la professoressa Liviana Da Dalt, direttrice del dipartimento Salute della Donna e del Bambino «si tratta di malati che hanno bisogno di un ospedale in fase di diagnosi, complicanza e riacutizzazione in grado di fornire un’alta complessità assistenziale, competenze specialistiche e tecnologie molto avanzate e multidisciplinari, oltre a spazi assistenziali adeguati».
L’edificio Calabi risale al 1956: un’era geologica fa, sia sotto il profilo della cura che dell’assistenza: «Allora il bambino veniva ricoverato da solo, al punto che nei reparti per lattanti non erano previsti bagni» prosegue Da Dalt «dagli anni ’70 è cambiata la sensibilità e ogni paziente è accompagnato dalla mamma, per cui servono spazi adeguati».
Oggi per 28 posti letto ci sono 56 persone e due bagni. Ma la nuova Pediatria non garantisce solo un giusto giacilio in cui permettere a una mamma di riposare l’angoscia, ma è anche la strada per guadagnare normalità a giornate scandite dalla malattia: «La Carta dei diritti dei bambini in ospedale invoca il diritto a stare in un ambiente accogliente recuperando il più possibile la parte sana dei bimbi assicurando loro spazi da condividere con i genitori, per giocare e per frequentare la scuola».
Intanto la scienza corre sul binario di quella «buona inquietudine» sollecitata dallo stesso Mattarella, con un fardello pesante sulle spalle: «Siamo al passo con i maggiori ospedali d’Italia in termini sanitari ma se un sistema di questo tipo non avrà un contenitore adeguato, anche lo sviluppo si bloccherà. Il sistema organizzativo e dell’accoglienza sono fortemente stressati: è umiliante vedere gli sguardi dei genitori quando entrano nella stanza in cui dovranno sistemarsi, perché sappiamo di costringere a disagi e sofferenze famiglie già alle prese con momenti di grande dolore e fatica. Abbiamo 1.500 bambini all’anno ricoverati nei reparti degli adulti, soprattutto con patologie chirurgiche, perché qui non ci sarebbe spazio per accoglierli. È un’anomalia che va risolta. La nuova Pediatria dovrà concentrare in un unico sito tutti i bambini accolti nell’ospedale» prosegue Da Dalt.
Eppure, la partita del microcosmo ospedaliero viene gestita secondo le regole della quotidianità altrui: «Quando pensiamo ai bambini pensiamo a quelli sani che corrono e giocano felici. Ma una piccola percentuale di questi ha malattie rare e gravi disabilità che si concentrano nella nostra struttura» conclude Da Dalt «il problema è questo, che manca la piena consapevolezza di cos’è la Pediatria a Padova, le complessità e i bisogni li conoscono solo i genitori dei piccoli malati ma non gli altri cittadini. Noi crediamo nella forza della bellezza, ma quando bisogna fare delle scelte la salute dei bambini non può passare in secondo piano. Senza contare che per la Pediatria le scelte sono state fatte da tanti anni e per noi è inaccettabile che si torni indietro».
Libertà non è prevaricazione
Giorgio Perilongo, direttore dell’ambito universitario del Dipartimento, invoca per le associazioni l’orgoglio dell’appartenenza a una società civile: «Abbiamo il privilegio di poter esprimere opinioni diverse» dice l’altro volto dell’unica anima della Pediatria «per arrivare a delle scelte la società civile ha messo in atto procedure che garantiscano un dibattito accurato, una condivisione e una verifica delle idee e alla fine gli organi deputati hanno preso una decisione finale».
Il professor Perilongo cita la conferenza dei servizi pre progettazione «quattro pagine di verbali firmate da tutti, Belle Arti comprese». «In quel momento tutte le parti hanno concordato che il progetto si poteva fare ed è tutto oggetto di verbali» spiega «la procedura è durata quattro anni in cui sono stati superati ostacoli, passaggi e autorizzazioni che hanno permesso di comporre opinioni diverse in una decisione finale costata tempo e milioni. Una società civile rispetta le regole e da cittadino sono sorpreso che a Padova si sdogani un modo di fare che può portare alla paralisi in qualunque ambito usando la violenza e arroganza per imporre opinioni di fronte ad atti approvati. C’erano le sedi per esprimere i pareri ma alla fine bisogna arrivare a sintesi e soluzioni» insiste «io sono qui per curare la febbre e difendere diritti e per me è una sofferenza vedere che alle soglie di una soluzione che non riguarda giochi di potere ma alleviare un disagio inaccettabile già 20 anni fa, si rischia di fermarsi e perdere almeno altri 10 anni, né a San Lazzaro ci sono possibilità. E mi colpisce che queste persone non siano mai venute a chiederci perché siamo così ostinati: per il disagio cui costringiamo famiglie e bambini».
Frustrato ma non piegato, Perilongo volge lo sguardo lontano: «Il mio sogno, conoscendo la potenzialità dell’architettura, è una cittadella materno infantile in cui tutto viene valorizzato a favore dei bambini, e i piccoli malati trovano speranza guardando i loro coetanei giocare» conclude «hanno messo una piramide di vetro al Louvre, guardate cosa hanno fatto al centro Pompidou che tutto il mondo apprezza e noi non abbiamo la capacità di combinare le esigenze del territorio senza parlare di ecomostri: è giusto difendere il nostro patrimonio storico, ma non deve essere un ostacolo per crescere. Abbiamo le risorse per combinare passato e futuro. Non è fantascienza ma fantasia, creatività. Se non siamo aperti al futuro la prospettiva è la paralisi, non si può guardare avanti dallo specchietto retrovisore». Immaginare insieme, dunque, una sfida che solo una società civile può cogliere. —
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova