Perizia sulla morte di Chiara
I genitori chiedono l'opinione di un neurochirurgo

MESTRINO.
E' stata richiesta dai genitori di Chiara Berti (nella foto), la trentatreenne di Mestrino morta il 16 agosto del 2007 dopo il ricovero al pronto soccorso, la perizia di un neurochirurgo per chiarire se vi sia un nesso causale fra la somministrazione di sodio e il decesso. Martedì il Tribunale deciderà sull'istanza. La giovane donna, guarita da un'operazione al cervello a cui era stata sottoposta nel 1988, quel tragico ferragosto si era ritrovata al pronto soccorso per un leggero malessere che aveva richiesto un'infusione di sodio. Il legale della famiglia ha presentato una memoria con una serie di osservazioni che tendono a far luce sull'episodio. «Non è mai stato chiarito quali possano essere le conseguenze di una errata somministrazione di sodio - affermano Dino Berti e Paola Tormene, i genitori della ragazza - ma è importante se si valuta che la dottoressa Alessandra Vidali che ha prescritto a nostra figlia la terapia, non ha dato alcuna indicazione agli infermieri sulle modalità di somministrazione». I genitori sostengono da tempo che le cause del decesso sono da attribuire a un «insulto ischemico» provocato, pare, dalla somministrazione troppo rapida dell'infusione. «Vidali ha inviato la richiesta al pronto soccorso e non a un reparto qualificato e non poteva sapere se l'infermiere che avrebbe poi somministrato l'infusione sarebbe stato in grado di adeguare la terapia alla prescrizione, senza aver ricevuto istruzioni - proseguono i genitori - Un accertamento medico potrebbe portare anche all'individuazione dell'infermiere, dato che il personale del pronto soccorso ha affermato di non ricordare assolutamente nulla». Altro punto oscuro della vicenda riguarda la somministrazione di due flaconi di sodio da 500 ml ciascuno. «Anche nel caso della dottoressa Silvia Mainardi del pronto soccorso ci siamo trovati di fronte a delle affermazioni che ci hanno lasciati perplessi - raccontano i genitori di Chiara - Ha infatti ricordato, o desunto dal certificato del pronto soccorso, di aver disposto l'infusione, ma non vi è traccia di alcuna prescrizione adeguata sulle modalità di somministrazione». I famigliari vorrebbero che la perizia spiegasse quali sono le modalità e i tempi da utilizzare in questi casi, dato che le infusioni sembra siano state eseguite in due ore anziché nelle 72 che la medicina dovrebbe imporre. «Un ultimo particolare ci ha inquietato - commenta Berti - dopo l'intervento in area rossa ci fu consegnato un sacchetto di plastica con i vestiti di Chiara tutti tagliati e zuppi di liquidi. Solo la perizia ci potrà spiegare perché dagli esami del sangue del 17 agosto era emerso che erano stati somministrati a Chiara molti flaconi di acqua fisiologica. A cosa sono serviti?»
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