Piazza Gasparotto: il non luogo per eccellenza, ritrovo di disperati e sbandati in mezzo a palazzi vuoti

PADOVA. È un po’ come costruire un castello di sabbia sul bagnasciuga. Prima o dopo arriva un’onda più lunga e spazza via tutto. L’ultima volta è stato il Covid a svuotare piazza Gasparotto, un non luogo fra palazzi per lo più disabitati. Stretti, a loro volta, in mezzo a tre grandi vuoti: il Pp1, l’area della stazione e il cantiere del parco Tito Livio.
In presenza di niente, nel vuoto urbanistico che si fa deserto di socialità dopo il tramonto e nei weekend, quello spazio e quei portici diventano il contenitore di tutto: senza fissa dimora, richiedenti asilo, spacciatori e quindi tossicodipendenti. Un’umanità varia senza luoghi assegnati. Invisibili dei quali ci si accorge solo in cronaca nera. Oppure bravi a restare tali, come le badanti, che nei weekend si radunano per un picnic, musica e cibo per stare insieme. Mangiano, si divertono, puliscono e vanno via.
E se il Covid ha raso al suolo l’ultimo castello, mettendo in ginocchio il circolo Nadir – che teneva accese le luci di sera – e in seria difficoltà il coworking Co+, in piazza ora si guarda con un misto di diffidenza e preoccupazione allo sbarco dell’associazione Andromeda dell’ex parlamentare Filippo Ascierto. Che si è presentato con aria da sceriffo e una pattuglia di “addetti alla vigilanza” dai modi spicci. Al motto di: “Gli spacciatori li mando via”.
Gli spazi da ripensare
Sono dieci anni che sul bagnasciuga di quella piazzetta si tenta di costruire qualcosa. Nel 2011 i primi tentativi di riqualificazione con qualche spettacolo, l’attività della Mela di Newton e anche dell’Asu. Negozi intanto aprivano e chiudevano rapidamente, scoraggiati dalle presenze tanto quanto dalle assenze. Una sala scommesse, un sushi: arrivati e spariti.
«Nel 2014 la piazza era tutta vuota, solo locali sfitti», ricorda Elena Ostanel, ora consigliere regionale, che ha voluto fortemente aprire il Co+, «per portare in quella piazza professionisti che potessero lavorare lì e intanto ripensarne l’uso di quegli spazi». Tentativo riuscito solo in parte. Il coworking è rimasto aperto, ma sopravvive con fatica al Covid. «Quell’area va ripensata in funzione della città che avrà intorno», dice Ostanel. Ora però intorno è tutto un cantiere. E quel vuoto è frontiera. «Potrebbe avere perfino un risvolto positivo, questa concentrazione di persone in difficoltà», aggiunge Ostanel. «Avendo soldi da investire in unità di strada e servizi, sarebbe anche più facile occuparsene». Ma di soldi ne servono troppi e di questi tempi non ce ne sono.
La musica, l'incontro
Il nulla della piazza – e lo spazio di due uffici vuoti – è sembrato un posto ideale per far musica di sera, senza dar noia a nessuno. Così nel 2016 è nato il circolo culturale Nadir: 70 mila euro di investimento con un crowdfunding e un po’ di soldi concessi da Banca Etica. «Il resto l’abbiamo messo noi fondatori», racconta Marina Molinari.
Per due anni è andata alla grande. Musica la sera, laboratori e corsi di giorno, in piazzetta succedeva quasi sempre qualcosa. «Quando c’è movimento, quello spazio cambia aspetto. E anche chi lo popola ha un’altra faccia». Poi è arrivato il Covid, luci spente e il Nadir ora cammina sul filo, tra mutuo e affitto. Con il rischio di non riaprire più. La pandemia ha fatto l’onda e ha buttato giù tutto.
«La verità è che la cultura non basta, in posti così servono unità di strada, competenze», riflette Serena Maule, altra fondatrice del Nadir. «Noi siamo stati un presidio, quasi per caso, abbiamo anche chiamato la polizia quando necessario, ma siamo volontari, non è nostro compito. I problemi ci sono, ma la soluzione non è spostarli altrove. Non ci si prende cura della città se non ci si prende cura delle persone. Gasparotto è una sfida insieme terrificante e stimolante».
I servizi in campo
Non potendo far molto, e dopo aver avviato un buon esperimento di orto urbano in piazza - il Gasparorto - l’anno scorso l’amministrazione comunale ha aperto in piazza un ufficio dei servizi sociali. «È un tentativo di avere un approccio inclusivo con chi frequenta quegli spazi», spiega l’assessore al Sociale, Marta Nalin. «Non so dire se funzionerà. Tra lockdown e smart working, cantieri intorno e restrizioni, non c’è mai stata la presenza che avevamo in mente».

Si parte da una consapevolezza emersa da uno studio prima del Covid: i frequentatori della piazza cambiano più volte in una giornata. «C’è uno spaccato di tutta la nostra utenza», aggiunge l’assessore Nalin. «La risposta dovrebbe essere l’occupazione degli spazi: farli vivere, coinvolgere chi li frequenta. Residenti quasi non ce ne sono, gli uffici sono vuoti, un progetto partecipato è difficile da costruire. Ma di sicuro la risposta non è quella delle ronde».
Il pugno duro
Eppure è con il piglio dei “tutori della legge” che in piazzetta hanno installato la loro base operativa Ascierto e i suoi volontari di Andromeda che si definiscono «singergici a chi svolge attività sociale». L’ex parlamentare non vuol passare per sceriffo: «Chi si droga va aiutato, non ce l’abbiamo con i tossici», dice. «Anzi, abbiamo psicologi e altre figure per indirizzarli verso il recupero in strutture protette. Ma chi spaccia va arrestato e noi siamo lì anche per segnalarne la presenza. Sogniamo un mondo migliore, dove non ci si droga ma si fa sport».

Eppure c’è chi segnala un insolito accanimento anche verso i senza dimora. «Hanno chiuso alcune parti della piazza, scacciando chi le occupava», ha segnalato Giovanni Zamponi, portavoce dell’associazione Gasparotto che riunisce rappresentanti di tutte le realtà che operano in quell’area. «Ma la cosa più strana è che Andromeda è arrivata qui senza cercare un confronto con chi in piazza lavora da anni. Sembra più che altro un’operazione politica. Ma i problemi non si risolvono così». Ascierto nega: «Ho già incontrato qualcuno e continuerò. Qui c’è una buona attività sociale e credo che, seguendo il modello dei Giardini dell’Arena, si possa fare un buon lavoro». —
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