Prima del restyling dentro la storia del Ponte di Rialto

di Vera Mantengoli
VENEZIA
Consegnare il proprio nome all’eternità ha un prezzo, ma per il Ponte di Rialto questo e altro. Miliardi di passi ne hanno calpestato le rampe, altrettanti scatti ne hanno immortalato il profilo, eppure se pensavamo di sapere tutto sulla sua biografia ci sbagliavamo. Documenti inediti raccontano un backstage fatto di processi, pettegolezzi e planimetrie mai censite che arricchiscono di particolari la sua secolare vicenda. Siamo alle soglie di uno dei restauri più attesi degli ultimi anni. Il magnate che passerà alla storia è l’imprenditore della Diesel Renzo Rosso che, con 5 milioni di euro, permetterà al Ponte di Rialto il necessario restyling. La raccomandazione, tramandata nei libri, è che non venga «per nulla alterata la struttura». Per rimanere fedeli alla storia si è iniziato l’approccio con una bella radiografia che rinfreschi la memoria.
La prima relazione sulla struttura del Ponte di Rialto è stata ultimata in questi giorni dopo qualche mese dall’archeologo e scrittore Davide Busato che ha portato a galla le carte di un processo tra fabbri che videro coinvolto lo stesso Antonio da Ponte come testimone. L’architetto fu già posto sotto processo iniziati i lavori in quanto l’idea del basamento realizzato da palificate di olmi e larici posti nel sottosuolo ad altezza diversa, venne ritenuta un azzardo. Solo quando se ne dimostrò la solidità «riconciliati gli animi dei curatori cessarono le mormorazioni del popolo». Il processo inedito, ritrovato spulciando tra le carte dell’Archivio di Stato, durò invece quasi tre anni dal 1593 al 1596. Si tratta di un battibecco tra artigiani che dimostra come Rialto sia stato fin dall’origine teatro della vita quotidiana dei cittadini, esattamente come lo è oggi. I protagonisti sono i fabbri Bortolo di Santa Maria Zobenigo e Giovanbattista Origoni di Santa Margherita. Il primo querela il secondo, accusandolo di aver riscosso dei soldi a suo nome per alcune forniture di ferro utilizzate per la costruzione del Ponte. Al processo partecipano anche Piero Terrazzer, costruttore delle botteghe a Rialto e originario di Campo San Fantin, e Battista Murer di Campo S. Aponal. In questa occasione vengono sentiti oltre 15 testimoni, incluso anche un cittadino che si recava ogni giorno a fare un sopralluogo per tenere la situazione sotto controllo. Il processo si risolve quando Origoni paga una somma a Bortolo e lui alla fine ritira la denuncia, lasciando che i lavori riprendano in pace.
A rovistare tra le carte si scopre quante volte sia stato necessario restaurarlo, come si evince in un mandato del 22 dicembre 1739 quando i proti del Magistrato da Sal inviano una missiva al Senato per porre attenzione al Ponte «aggiunta la immensa ed incessante frequenza del Popolo e una gran parte dei selici e dei marmi è guasta e consumata». In origine gli scalini erano fatti di mattoni posti a spina di pesce. Il Ponte venne ricoperto nel 1677 dei masegni, ben prima di San Marco nel 1723. Ne deve aver sopportate delle belle l’architetto che il primo giugno 1588 vide posizionare la prima pietra di . un progetto che si concluse in tempi record, in tre anni, e accese anche qualche ripicca tra le archistar del tempo, a partire da Jacopo Sansovino che, in veste di proto della Procuratia di San Marco, sembra abbia ostacolato il progetto di Andrea Palladio. In un libretto del 1837, edito dalla Tipografia Andreola di Treviso, si raccontava la vita di Vincenzo Scamozzi, architetto allievo di Palladio che si vide bocciare il progetto in quanto troppo costoso. Per questo sembra che il Senato scelse Antonio da Ponte, già conosciuto per aver restaurato Palazzo Ducale, le Prigioni e il Ponte dei Sospiri.
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova