Processo al Risorgimento Cavour e Garibaldi accusati di crimini contro la pace
Concorso in crimini contro la pace attraverso la pianificazione e organizzazione di una vera e propria guerra di aggressione. E poi ancora: il sacrificio di quindicimila giovani vite con la partecipazione a una guerra soltanto per meri scopi politici, ovvero per incassare l'appoggio di Francia e Inghilterra nel processo di unificazione italiana. Sono queste le pesanti accuse di cui dovranno rispondere Cavour e Garibaldi in tribunale. Già proprio loro, i «padri della patria», imputati in un processo storico tutto padovano: la pubblica accusa sarà sostenuta dal pubblico ministero Sergio Dini della procura della Repubblica di Padova, città dove vive e lavora, nonché storico per passione, mentre la sentenza dovrà essere pronunciata dal giudice Graziana Campanato, anche lei residente nella città del Santo, una carriera al tribunale di Padova e Rovigo, prima di approdare al tribunale dei Minori di Venezia e infine alla presidenza della Corte d'appello di Brescia. L'«udienza» aperta al pubblico si svolgerà venerdì prossimo, dalle ore 20,30, nel centro civico di Bojon di Campolongo Maggiore, nel Veneziano, territorio dove la mafia del Brenta aveva ramificazioni. E dove, non a caso, si celebrerà il processo a una pagina importantissima della Storia del nostro travagliato paese quasi ad affermare con forza il principio di legalità. E il principio che la legge non guarda in faccia nessuno, nemmeno i «padri della patria». Camillo Benso conte di Cavour (impersonato da Annabella Cabiati autrice del volume «Cavour», Edizioni a Nord Est) e l'Eroe dei Due Mondi (Vincenzo Gueglio, autore di «Mazzini e Garibaldi», edizioni Gammarò) saranno sul banco degli imputati «perché, in unità di intenti e in accordo tra loro, pianificavano e organizzavano una guerra di aggressione contro lo Stato indipendente del Regno delle Due Sicilie. In particolare - si legge nel capo d'imputazione - il Garibaldi reclutava volontari e li organizzava in una vasta formazione armata denominata "i Mille", e con tale forza moveva da Quarto (località facente parte del Regno di Sardegna del quale il Cavour era primo ministro) alla volta della Sicilia su navi (i piroscafi Piemonte e Lombardo) messe a disposizione dallo stesso Cavour; successivamente il medesimo conte di Cavour inviava un corpo di spedizione dell'esercito piemontese in ausilio delle formazioni irregolari del Garibaldi cosicché, risalendo quest'ultimo da sud, e discendendo le truppe piemontesi da nord (occupando le stesse, in tal modo, altresì le Marche e l'Umbria, sottraendole al legittimo governo Pontificio), si congiungevano tra loro a Teano e cagionavano la caduta del regime Borbonico napoletano, occupandone integralmente il territorio e annettendolo al Regno di Sardegna». Ma per arrivare a quell'obiettivo Cavour aveva dovuto porre a livello internazionale la questione dell'unificazione italiana, ripulendola da ogni carattere rivoluzionario, e far assumere al Piemonte un ruolo nei giochi d'equilibrio che le grandi potenze compivano in Europa con la partecipazione alla guerra di Crimea «inviando un corpo di circa 15 mila uomini - è la seconda accusa contestata al solo Cavour - a supporto delle truffe francesi e inglesi schierate al fianco della Turchia nella guerra contro la Russia, sacrificando alla ragione di Stato centinaia di giovani vite di soldati piemontesi...». C'è di più, un'ombra che rischia di offuscare l'immagine di Garibaldi chiamato a rispondere del presunto omicidio di Anita nelle paludi di Comacchio. Anita morì il 4 agosto 1849 durante una rocambolesca fuga da Roma per raggiungere Venezia: il corpo fu sepolto nella sabbia e scoperto casualmente alcuni giorni più tardi da un gruppo di ragazzini. Il delegato Pontificio di Polizia di Ravenna (il comandante della polizia papalina) firmò un rapporto: «Tutto induce a credere che fosse il cadavere della moglie che seguiva Garibaldi...». E scrive di «segni non equivoci» di strangolamento. Fu omicidio?
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