Quando canta l'innocenza

"Che forti che sono i bambini, agnellini innocenti e coraggiosi. Fino a quando arriva la tigre perfetta, li prende e se li porta via"
“Tigre! Tigre! Divampante fulgore nelle foreste della notte, quale fu l'immortale mano o l’occhio ch'ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?” Le parole che il poeta ed artista William Blake nel 1700 utilizza per rendere vivido l'inevitabile passaggio da infanzia a età adulta attraverso la bellezza perfetta d'un essere così crudele ed elegante come la tigre, sono valide ancor oggi. Ieri pomeriggio, sul pianerottolo sotto al mio, incontro un biondissimo bimbo russo che vedo spesso in compagnia della madre. Stavolta però è solo e sta cercando come un forsennato di aprire la porta di casa che, nonostante la normalità, sopra di lui sembra incombere come un'enorme inferriata. Mi saluta dandomi del Lei (in Russia ci si dà del Lei -anzi, del Voi- quasi sempre anche tra coetanei adulti in un modo riverente ed ufficiale da noi ormai perso), mi sorride con due occhioni blu di Prussia, poi si rimette ad armeggiare con la serratura, strizzando la linguetta che spunta tra lentiggini e denti. Mi fermo a guardarlo, stupito. Prima di tutto nel constatare che a un “bocia” del genere han già dato le chiavi di casa, poi perché se continua così, nonostante la tenera età, quella chiave la spiezza in due. “Vuoi una mano?” Gli chiedo. “Davàjte” (una sorte di “Dai!” ma sempre inteso come “Voi”) mi fa lui senza una piega. Ma non ci riesco nemmeno io, qualcosa si blocca dentro. “Senti, perché non chiamiamo i tuoi? Ce l'hai il telefono?” “Sì, ce l'ho” mi risponde secco “Ma non importa, li aspetto.” E cosa fai?” “Non so”, ribatte serafico alzando le spallucce, “Mi leggo un libro.” Un libro...?! Mi ci inginocchio davanti e lo guardo fisso negli occhi: “Dai, chiama i tuoi, su”. “No! Son già grande, io!” mi fa imbronciato. Sorrido, sorpreso ed emozionato. “Oh, mamma, davvero?! E quanti anni hai?” “Già 8!”, orgogliosissimo e rosso come un pirata dei Caraibi. Stavolta sorrido col cuore mentre gli carezzo la testa e per un momento mi sento profondamente triste di non avere dei figli. “Va bene, ometto”, gli faccio, “Allora facciamo così: lo vedi quell'appartamento lì su? Il numero 9? Ci vivo io. Adesso salgo, lascio la porta aperta. Se hai bisogno, son là.” “Grazie...”, stavolta chi mi sorride è lui. Il bambino non era poi venuto ma il l'incontro aveva comunque mosso parecchio dentro di me e riportato a galla un episodio di qualche anno fa, quando insegnavo a dei bambini di una scuola elemetare della periferia moscovita. In una grande aula ricoperta di carte geografiche e tabelle aritmetiche, un bel dì un frugolo mi chiese: “Cristiano, i miei vanno in vacanza a Venezia, ma poi vorrebbero spostarsi in un altro posto, tu cosa gli consiglieresti?” Io gli avevo risposto immediatamente, “La Liguria”, conoscendola bene. “Ma purtroppo è un po' lontana da Venezia.” “Lontana quanto?!” Aveva detto lui in piedi ed impettito. “Quasi 500 kilometri!” Mi aveva gelato con un'occhiata impertinente e mezzo sorriso alla Fonzie. Poi aveva attaccato un discorso che non mi scorderò per il resto dei miei giorni: “Signor Maestro, si può girare, per favore? Ecco, la vede la carta geografica? Bene. Guardi il suo Paese e poi il mio. La vede la differenza di dimensioni? Lo sa che in Russia ci stanno circa 55 Italie? Ecco, secondo lei davvero ora crede che per noi 500 kilometri sono tanti...?” Che forti che sono i bambini, agnellini innocenti e coraggiosi. Fino a quando arriva la tigre perfetta, li prende e se li porta via.

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova