Quartiere universitario di Padova, negozi sul lastrico: «Senza studenti perso il 90% dei ricavi»

PADOVA. Si sono definiti un’intera “comunità” e tutti assieme – una settantina di attività – hanno firmato una lettera inviata al governatore Luca Zaia per urlare che stanno morendo a causa della chiusura dell’Ateneo. Sono i commercianti del quartiere universitario, dell’una e dall’altra parte del Piovego, ovvero dal Portello alla zona Fiera di via Tommaseo. Con la chiusura dell’Università hanno perso il 90% dei ricavi.
La protesta
«Siamo una comunità di cittadini, di lavoratori, di persone che le chiedono solo di poter ricominciare a vivere – scrivono nella missiva al governatore – La notizia della ripresa delle lezioni universitarie in presenza non prima del prossimo gennaio è una boma sganciata su delle costruzioni già altamente pericolanti. Le nostre attività sono legate in grandissima parte al mondo universitario: senza gli studenti non potremo sopravvivere. Stiamo parlando di un’enorme quantità di bar, tavole calde, copisterie, librerie, cartolerie e tanti altri servizi che rischiano di trovarsi senza lavoro e costretti a chiudere in un arco di tempo estremamente breve».
Condannati
Nessuno nega il Coronavirus. «Ci rendiamo perfettamente conto che il problema sanitario c’è – continua la lettera – e che la salute è il bene da tutelare al di sopra di tutto, ma anche il lavoro è un bene prezioso e insostituibile». La dicotomia tra la morte fisica e quella economica impone – secondo i commercianti – delle soluzioni. «La soluzione in questo momento non può più essere stare a casa. Questa è una condanna alla chiusura delle attività e dei negozi, anche storici, che sono state portate avanti con orgoglio e con molte difficoltà nonostante la crisi generale sempre più sentita. Dietro gli studenti, dietro l’Università, non ci sono solo aule e banchi. Ci sono persone che vivono, che lavorano e che hanno il diritto di continuare a farlo. Chiediamo la possibilità di rimboccarci le maniche come sa fare ogni cittadino veneto». Inoltre: «se noi chiudiamo si condannano al degrado interi quartieri, quelli tenuti in vita da studenti e attività legate».
L’appello
Gli esercenti chiedono, infine, a Zaia «di venirci incontro, di trovare un dialogo con il rettore. Il Veneto non è fatto solo di fabbriche e turismo, ma anche di piccoli imprenditori e dei loro collaboratori».
Digitalizzazione
In attesa della risposta da palazzo Balbi i negozianti (in particolare le copisterie) hanno provato a dialogare con il rettore Rosario Rizzuto. In ballo una seconda questione: la digitalizzazione de Bo, che elimina l’obbligo di stampare e consegnare la tesi (risparmiando così la bellezza di 18 tonnellate di Co2) e riduce drasticamente i guadagni delle copisterie intorno agli istituti universitari. Addio cioè alle 5 copie stampate, ne resterà appena una, sempre che lo studente voglia conservarsela nella versione tradizionale di carta. «Avevo scritto una lettera al presidente Giuseppe Conte e al rettore – riferisce Katia Cesarò, tra le più antiche copisterie della città – purtroppo nessuno mi ha risposto».
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