«Quel pasticcio degli Ateco che blocca le enoteche»

I locali costretti a chiudere alle 18 come i bar anche se vendono solo vini in bottiglia e non sfusi Simonetta Piron, Cantina Sacra Famiglia: assurdo che gli alimentari siano aperti e noi invece no 
TOME -AGENZIA BIANCHI-PADOVA - ENOTECA LE RIVE. SIMONETTA PIRON
TOME -AGENZIA BIANCHI-PADOVA - ENOTECA LE RIVE. SIMONETTA PIRON

Il caso

I codici ateco stanno seminando insoddisfazione e scontento. Gli ultimi (in ordine di tempo) che si aggiungono alla lista dei “danneggiati” sono le enoteche: anche quelle che non vendono vino in calice, ma solo bottiglie sigillate sono state infatti colpite dal Dpcm del 14 gennaio, costrette a chiudere la vendita per asporto alle 18 come i bar. L’accusa arriva dalla Confesercenti: «Il codice ateco è del tutto inadeguato a fornire una fotografia affidabile della realtà delle imprese», spiega il presidente Nicola Rossi, «Utilizzarlo vuol dire lasciare migliaia di imprese nell’incertezza normativa, visto che possono avere un codice di attività prevalente che non corrisponde alla totalità dei servizi offerti. Oggi, un imprenditore che abbia un bar-pasticceria con codice ateco 56. 3 (quello dei bar) deve chiudere alle 18, ma i suoi colleghi con un’attività di pasticceria (codice 56. 1) che offrono anche un servizio bar come attività non prevalente potranno continuare a vendere fino alle 22, compresi gli alcolici.

Stessa “condanna” per le imprese che vendono bottiglie di vino: enoteche e bottiglierie (codice 47. 25) sono costrette a chiudere, ma minimarket e supermercati, dove è certamente possibile comprare gli stessi prodotti, rimangono aperti». Non è la prima volta che la Confesercenti mette in guardia il Governo sul problema creato dall’Ateco perché porta guai anche nei ristori: «L’individuazione dei beneficiari dei provvedimenti attraverso il codice di attività economica ha infatti escluso troppe imprese», sottolinea Rossi, «dagli agenti di commercio specializzati in ristorazione ai fornitori, per non parlare di tabaccherie ed edicole che svolgono attività secondaria di somministrazione, completamente ignorate dai vari decreti perché, in teoria, escluse dalle restrizioni. Per il Ristori Quinques sarà assolutamente necessario abbandonare questo criterio, o sarà un disastro: gli aiuti – che dovranno essere calcolati sull’intero 2020 – dovranno includere tutte le imprese che hanno avuto un calo di fatturato superiore al 30% riconducibile alle restrizioni».

Una delle “vittime” di questo limbo governativo è Simonetta Piron, titolare della Cantina Sacra Famiglia in piazzale Firenze: «La nostra è una rivendita», spiega, «non misceliamo né vino né altre bevande. È assurdo che il mio vicino alimentari può vendere tutto il vino che vuole dopo le 18, mentre io vengo chiusa. Resto basita perché ci stanno arrecando un danno economico importante. La sera sto rimandando oltre le 18 perché posso fare consegne a domicilio e ho dovuto mandare via dei clienti: semplicemente saranno andati da un’altra parte. Dunque o vietano a tutti la vendita di alcuni prodotti o non va bene». Simonetta precisa: «Io voglio lavorare stando alle regole e mi rendo conto che ci sono delle enoteche o cantine che hanno fatto (e in alcuni casi continuano a fare) assembramenti fuori dal loro negozio, ma non metto bocca dove non mi compete, questo è mestiere di chi deve fare i controlli. Invece in questo modo il provvedimento colpisce tutti, anche chi come me vende vino chiuso. Se poi la bottiglia sigillata qualcuno se la apre per strada, non posso farci nulla, come non può farci nulla il supermercato». Di più: «Al momento nella mia attività posso far entrare due clienti per volta, ma sono disponibile a farne entrare anche uno per volta pur di lavorare. Fate i dovuti controlli, ma lasciate in pace chi vuole lavorare». Piron è un’imprenditrice combattiva e grintosa, ma rispettosa delle regole, ben oltre le direttive: «Durante il lockdown potevo rimanere aperta», rivela, « ma per scelta chiudevo alle 18 come i miei colleghi vicini. Mi sono adeguata perché mi è sembrato giusto, ma ora non è la stessa cosa e non voglio adeguarmi». —

elvira scigliano

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