Reportage dal nuovo ospedale: inaugurato ma ancora vuoto

MONSELICE. Un enorme scatolone vuoto. Un contenitore luccicante, bello, moderno e colorato, ma ancora tutto da riempire. Così si presenta il nuovo ospedale inaugurato mercoledì mattina a Schiavonia. Una struttura sanitaria indubbiamente all’avanguardia, ma messa in funzione troppo presto, quando soltanto un minuscolo angolino di questo immenso complesso è stato allestito e reso presentabile e funzionale. Il coro è unanime. Ne sono convinti i medici che, prima di ricevere il primo paziente della giornata e della nuova era della sanità della Bassa Padovana, si affannano ad aprire scatoloni, riporre strumenti di lavoro e appoggiare cartelline sulle scrivanie degli ambulatori.
Ne sono convinti gli infermieri, quelli capitati di turno al debutto, chiamati a togliere in fretta e furia i nylon dai lettini e cercare inutilmente di far funzionare macchinari nuovi di pallino, che non sono stati ancora collegati da tecnici specializzati. Ne sono convinti i pazienti, che si guardano attorno come se fossero stati catapultati su Marte (le pareti delle sale di attesa dei poliambulatori aperti sono peraltro blu!). Sono sperduti, a disagio, quasi spaventati. Anzichè essere contenti di essere i primi a varcare la porta dell’ospedale dedicato a Madre Teresa di Calcutta, quasi fossero dei privilegiati, sono invece là a rammaricarsi di non essere stati gli ultimi ad essere visitati a Este o Monselice. Temono la precarietà del luogo, che nella percezione comune diventa sinonimo di visita medica meno approfondita e completa. Chissà perché tanta fretta? Chissà perché non si è aspettato che l’ospedale fosse allestito davvero prima di far entrare per la prima volta i pazienti, che già si avvicinano agli ambulatori medici pieni di timore? Chissà?
Il primo impatto. Arrivare da Monselice è agevole, in quanto sono stati posti i cartelli con le indicazioni stradali. Le strade non sono proprio scorrevoli, ci sono un paio di ghirigori con annessa rotatoria, ma l’ospedale non è un mega centro commerciale destinato a convogliare fiumi di gente nelle ore di punta. In compenso il parcheggio è enorme e, vuoto com’era ieri, appariva addirittura smisurato. L’ospedale sembra un gigantesco palazzetto dello sport, tutto vetrate e strutture accattivanti color bordeaux. Lontano dall’idea usuale di ospedale, con il suo tradizionale sviluppo in verticale, come negli emoticon dei cellulari. Così anche l’impatto, appena varcata la porta a vetri. Una hall enorme, luminosa nonostante il tempo uggioso. Ieri era praticamente vuota di gente, a parte un paio di steward accanto alla colonnina dove sono indicati i reparti, pronti a dare indicazioni. Ora il percorso è obbligato verso destra, dove sono stati messi in funzione cinque ambulatori su 64. Le indicazioni sono quelle di un aeroporto, Zona A1, A2 e oltre, sala d’attesa A e B, e avanti. Ci vorrà un po’ prima che la gente prenda dimestichezza, scorrendo sui fogli ricevuti al Cup e facendosi guidare dai primi cartelli sistemati. Ieri comunque c’era l’aiutino dell’infermiera che attendeva sorridente e disponibile al bivio verso gli ambulatori in funzione. Inoltre, essendo aperta solo una piccolissima parte dell’ospedale, non ci si poteva proprio perdere.
I primi attori. Un medico indossa già il camice rosso, scelto come divisa, gli altri sono in tradizionale camice bianco. Per lo più c’è gente che porta avanti e indietro scatoloni. Nell’ampia sala d’attesa vicino agli ambulatori di Ortopedia ci sono undici sedie («Così poche?», si chiede subito un sanitario) e due coppie in attesa. Una viene da Merlara e un’altra da Castelbaldo, sicuramente i comuni più lontani da Schiavonia. I primi sono partiti di buon’ora per non sbagliare strada e sperano di tornare indietro con la luce. «La strada è lunga, tanti semafori, perché non ci fanno andare a Legnago che dista solo 13 chilometri?. Mi pare che qui siano ancora in alto mare, perché non ci hanno lasciati ancora a Este?», si chiedono rammaricandosi. L’altra arriva da Castelbaldo, viaggio più breve lungo la nuova regionale 10, senza nemmeno trovare traffico. Anche loro non sono affatto contenti di essere i primi. Oltretutto sono stati avvertiti solo mercoledì sera che sarebbero dovuti andare a Schiavonia per la visita prenotata circa una settimana prima.
Lo scatolone vuoto. Appena si esce dall’area dei cinque ambulatori in funzione si viene dirottati verso l’uscita. Ogni altro passaggio è sbarrato dalla presenza di agenti della vigilanza che, gentilmente, ricacciano indietro. La curiosità però è tanta e alla fine si riesce a passare. E arriva anche qualche indicazione ma alla fine, nonostante la buona volontà e il tentativo di memorizzare i percorsi, ci si perde, catapultati in un intricato labirinto in technicolor, fatto di piccoli e grandi corridoi, passaggi intermedi e spazi enormi. I corridoi hanno i pavimenti, verde, giallo, lilla, azzurro e rosso. Lo sguardo si perde in alcuni punti all’infinito, passando da una tinta all’altra. Bello l’effetto, ma al momento solo quello. Quelli principali sono blu con il centro giallo, come una sorta di linea guida. Interminabili corridoi completamente vuoti, ai lati dei quali sono ammucchiati qua e là scatoloni o contenitori di protezione. Non ci sono ancora le indicazioni, quindi senza una piantina si gira e si rigira perdendo l’orientamento. Primo piano, secondo piano e terzo con l’impiantistica, tutto via scale perché gli ascensori ovviamente sono ancora fuori servizio. Ai lati dei corridoi si aprono gli ambulatori vuoti, riconoscibili soltanto dalla presenza del lettino ancora incellophanato o della tenda che fa da spogliatoio, le stanze per radiografie o tac nelle quali ci sono solo i macchinari imballati, un enorme salone con tante tende arancioni a fare da divisorio, altri grandi spazi di collegamento dalle pareti candide, cyclette allineate in un salone e poltrone a rotelle ammucchiate in una stanza, locali per le infermiere con armadietti a vetri turchese ancora immacolati, destinati a ospitare medicinali e medicamenti vari, le camere per i degenti individuabili solo per la colonnina di servizio, una o due letti con le sponde e un paio di comodini metallici. L’essenziale.
Quelle di Chirurgia (qui c’è già il cartellino fuori) hanno la parete d’ingresso colorata di viola, un po’ cupo ma non guasta. Poi ci sono le sale operatorie, numerate e con un grande pannello blu davanti in cui è raffigurato un chirurgo: qui sono già installati alcuni macchinari ma i locali, soprattutto le parti antistanti, sono ancora ricettacolo di sporcizia e di materiale ammassato. Ben lontane da quello che ci si aspetta. Guardando qua e là spunta anche la “tisaneria”, una piccola chicca nella struttura: ora ci sono soltanto tavoli e sedie impilati. Insomma tutto è da riempire, da pulire, da sistemare, da mettere a punto. Una sorta di cantiere ancora aperto, con tutti gli orologi fermi alle 12. Le nuove scadenze incalzano, ma probabilmente l’Usl 17 ha fatto i suoi conti e per metà novembre sarà tutto magicamente a posto e in perfetta efficienza. Almeno così si spera. E solo allora sarà possibile valutare il grado di funzionalità. Ora ci sono purtroppo solo perplessità e disguidi, come capitato al signore che ieri mattina è stato spedito dall’ospedale di Este a quello di Schiavonia. E da quello di Schiavonia a quello di Monselice, al quale non sapeva nemmeno arrivare. Ma non si è nemmeno imbufalito, come ci si sarebbe aspettati, in quanto ha capito che in questi mega passaggi fra tre strutture sanitarie è impossibile che tutto fili liscio.
Il pronto soccorso. È davvero ancora un cantiere inaccessibile, con sbarramenti insuperabili dall’esterno. Si sa che le pareti sono viola, che sarà molto funzionale, ma ieri tenevano tutti alla larga anche per questioni di sicurezza in quanto c’era una grossa gru mobile che portava fuori contenitori e quant’altro. L’apertura è prevista per il 17, ci sono quindi ancora 10 giorni.
All'inaugurazione pioveva dentro. Ecco il video dell'inaugurazione del nuovo ospedale di Schiavoni: a causa di problemi a una guarnizione pioveva nella grande sala d'ingresso.
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