Residenza Fusinato, l’occupazione e la lotta: il fronte con il collettivo Gramigna per liberare l’immobile

PADOVA. “Arresti e sgomberi non fermeranno le nostre lotte. Solidarietà agli occupanti di Giambellino di Milano. Solidarietà al centro sociale L’Asilo di Torino”. Dopo Milano e Torino rischia di essere Padova il nuovo occhio del ciclone della protesta anti imperialista per la difesa degli spazi occupati. L’ex Mensa Marzolo, cinque anni dopo la presa, è molto più di uno spazio. È un simbolo. È il tempio della resistenza dei militanti dell’ex collettivo politico Gramigna, rinato grazie alla spinta di questa nuova esperienza. Tutti uniti intorno al leader indiscusso Davide Bortolato, 48 anni, considerato il capo del nucleo padovano delle Nuove Brigate Rosse, scarcerato l’8 gennaio del 2016 e accolto con una grande festa proprio lì alla Marzolo.
nuova vita
L’anti imperialismo e il comunismo militante sono sempre state le parole d’ordine ma c’è stato un momento in cui il collettivo ha vissuto una fase di stanca profonda, dopo l’operazione di polizia che aveva smantellato tutto l’architrave. L’asse portante dell’accusa nei confronti delle nuove Br partiva dalla supposta esistenza di una struttura piramidale compartimentata, secondo cui i «cervelli» del Partito comunista politico-militare erano Davide Bortolato, Alfredo Davanzo, Claudio Latino e Vincenzo Sisi, i primi tre veneti, cresciuti politicamente a Padova. Latino, vecchia conoscenza in Autonomia Operaia, con Sisi e Bortolato teneva le fila a Padova, Milano e Torino. Gli arresti, l’inchiesta e i processi hanno inevitabilmente fiaccato il movimento che aveva finito per perdere il suo mordente. La nuova vita inizia nel 2012.
“pollaio” e “marzolo”
È l’occupazione degli spazi universitari in disuso a ridare linfa al collettivo, che prima si stabilisce dentro la storica aula studio chiamata “Pollaio”, all’angolo tra via Marzolo e via Paolotti e poi punta all’edificio dell’ex Mensa Fusinato sempre in via Marzolo. E da gennaio 2014 quello diventa un monumento alla resistenza. Scompare il nome Gramigna, per lasciare posto a “Marzolo Occupata”. È chiaro che lo sgombero sarà osteggiato in ogni modo e sarà lotta vera, non solo con gli slogan, nel momento in cui i poliziotti in assetto anti sommossa si presenteranno per liberare gli spazi.
lo sgombero
L’intervento non è facile da pianificare. La Marzolo è sempre presidiata. Dentro ci vivono stabilmente una ventina di persone ma il numero sale quando ci sono assemblee, feste o concerti. Gli sgomberi, generalmente, iniziano all’alba perché si punta sull’effetto sorpresa. Dunque dovrà essere organizzata un’irruzione, i cui esiti sono sempre incerti. Il Viminale a trazione salviniana spinge per portare a termine azioni di forza ma il diktat all’interno della polizia è chiaro: nessuno si deve fare male. Il capo Franco Gabrielli ha tracciato una linea di demarcazione tra ciò che è stato prima e ciò che è oggi, condannando pubblicamente i fatti della Diaz. È quindi impensabile che l’operazione si risolva con la violenza. Quale possa essere la chiave di volta per sbloccare la situazione, è un ragionamento in corso proprio in questi giorni. L’imperativo all’orizzonte è fin troppo chiaro: resistere. —
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