Resta inimitabile l’Otello di Del Monaco

Trent’anni fa si spegneva a Mestre il grande tenore trevigiano per amore
Di Cristiana Sparvoli

TREVISO. «Lei ha cantato con cuore saldo, gola sana, cervello vigile l’intera parte, che mette a dura prova la resistenza, l’abilità, l’equilibrio dell’esecutore meglio agguerrito. Lei affronta il terribile, sfuggente Moro con impeto e bravura commoventi. David che atterra Golia». Così scrive il tenore Giacomo Lauri Volpi il 30 aprile del 1951 a Mario Del Monaco, dopo aver assistito ad una recita di Otello a Roma. Un attestato di stima da parte di un “collega” che consacra, oltre ai critici musicali, la grandezza del più grande interprete del Moro di Verdi. Un ruolo così arduo, che i cantanti lirici di oggi lo escludono dal proprio repertorio. Dopo Del Monaco, dunque, il diluvio. E di quell’Otello leggendario, portato in scena ben 437 volte, dopo il trionfale debutto al Colon di Buenos Aires nel 1950, quando aveva 33 anni, restano delle preziose incisioni discografiche della Decca o della Fonit Cetra per chi ha la fortuna di trovarle. La voce dallo straordinario “squillo” si spense il 16 ottobre 1982 all’ospedale di Mestre, vinta a 67 anni (Del Monaco era nato a Firenze il 27 luglio 1915) da una lunga malattia, dopo il calvario della dialisi a cui il tenore si sottoponeva da tempo. Trent’anni dalla scomparsa di uno dei più celebri cantanti lirici del ’900, osannato dai melomani di tutto il mondo, dai potenti dell’epoca, capi di stato e regnanti, di cui Herbert von Karajan ebbe a scrivere a cinque anni dalla morte: «Una delle più preziose immagini della mia attività artistica è il ricordo del tenore Mario Del Monaco. Ha cantato la parte dell’eroe in “Otello”, in una mia indimenticabile nuova messinscena e lavorare con lui era affascinante; egli rappresentava l’Otello per eccellenza. Il suo ricordo ci accompagnerà ogni momento, come uno dei più grandi artisti che hanno creato l’opera». L’omaggio postumo di Karajan era indirizzato ad Osvaldo Alemanno, tenore e poi titolare della cattedra di canto al Conservatorio di Trieste e di musica a Castelfranco Veneto. Il maestro leccese di Mario Del Monaco fu assistente e collaboratore quando il cantante, lasciate definitivamente le scene nel 1975, si dedicò con passione alla scoperta di nuovi talenti lirici nei corsi di perfezionamento che teneva a Passariano (Udine). «Mi volle come suo sostituto nei due giorni in cui si assentava per la dialisi», ricorda Alemanno, che da una decina d’anni ha lasciato l’insegnamento. È lui a firmare una delle prime biografie del tenore, pubblicata nel 1988 da Matteo Editore, con il beneplacito della vedova Rina Filippini, il mezzosoprano che Mario Del Monaco sposò nel 1941, unione vissuta nella bella villa di Lancenigo di Villorba (Treviso), da cui sono nati Giancarlo e Claudio. La villa fu meta continua di artisti, personalità e giovani cantanti da tutto il mondo, che chiedevano un’audizione per ottenere l’autorevole giudizio del maestro. Con Rina costruirà un’intensa vita di collaborazione artistica e spirituale, fondamentale per la costruzione di una carriera straordinaria. Scriveva nel 1986 Rina (il cui vero nome è Fedora, come l’opera di Giordano che il marito interpretò superbamente con Magda Olivero a Napoli, nel 1965) in ricordo del tenore: «La sua vera qualità è la bontà e l’aiuto che profondeva a colleghi celebri e giovani con la sua vitalità, a volte aggressiva, a volte canzonatoria, insita nel suo carattere di toscano arguto e dalla parola facile». Un piglio di carattere indomito, consapevole della propria forza vocale e ineguagliabile tecnica, statura di protagonista indiscusso che non riconosceva nei cantanti della propria epoca temibili rivali. A tal proposito, resta memorabile, ed è ricordata anche nella biografia di Alemanno, la risposta data a Berlino a chi gli chiedeva un parere sui colleghi tenori: «Colleghi? Io ne ho solo due, Caruso e Gigli, e sono entrambi morti». Per Enrico Caruso aveva una “venerazione” speciale, dettata anche da legami familiari: la madre di Mario, Flora Giachetti (che egli definì la sua prima musa) era cugina della moglie di Caruso. E lui era destinato a seguire le orme del leggendario parente, quando a Pesaro la famiglia Del Monaco (padre napoletano, madre fiorentina) mise radici dopo avere girato tra Firenze, Cremona e Tripoli. Mario studiò al Conservatorio Rossini, ma inizialmente si dedicò al violino e non al canto. Poi, sotto la guida del maestro Raffaelli, scoprì la vocazione che l’avrebbe reso tra gli artisti più pagati del suo tempo. «Lui è stato quello che Maria Callas fu tra i soprano», commenta Alemanno, «È sul finire dell’epoca dei Gigli, dei Fleta, degli Schipa che appare come una raggiunta sintesi di cantante e attore, che vuole raggiungere la verità del personaggio, più che concedersi al flusso melodico e vocale, in una ricerca drammatica da cui emerge il cantante e l’uomo che ci vive dentro». Dunque, il carisma di Del Monaco, che diede nuova impronta al teatro lirico, paragonato a quello della Callas. Cantarono una mitica Norma scaligera, insieme, a Giulietta Simionato nella stagione lirica 1955-1956, ma il loro rapporto artistico non fu mai idilliaco.Una stella di prima grandezza che il pubblico adorava come un divo di Hollywood: «Mi raccontò che a Mosca, quando cantò Carmen nel 1959 al Bolshoi, dovette intonare O sole mio dalla finestra dell’Hotel Nazionale per accontentare la folla di ammiratori, che si era radunata e gridava “Viva l’Italia”», ricorda ancora Osvaldo Alemanno. La voce di Del Monaco un monumento nazionale, ancora oggi più ammirata all’estero che in patria. «Mi confidò che il suo sogno era realizzare una regia di Otelloal Teatro Comunale di Treviso, ma nessuno prese mai in considerazione il suo desiderio», dice l’ex docente di canto, che fu uno dei rari amici che il tenore frequentava in città, oltre ad Ivo Dalla Costa, il dirigente del Pci che lo invitò a cantare alla festa dell’Unità , e il musicista Angelo Ephrikian. Alemanno, sostenuto da Rina, poi diede vita al Concorso internazionale di Canto intitolato a Del Monaco: durò solo otto edizioni; da Treviso (dove già si svolgeva il “Toti Dal Monte”) emigrò a Castelfranco e quindi si estinse per mancanza di fondi. Mario Del Monaco insieme a Rina riposa all’ingresso del cimitero di Pesaro, in una tomba monumentale opera di Giò Pomodoro, donata dal Comune pesarese, che gli ha anche intitolato un viale. Treviso gli ha dedicato una statua di discutibile valore e nel 2011 ha dato il suo nomeal Teatro Comunale. Ma nella stagione lirica non c’è un evento speciale che rinnovi la memoria dell’ultimo, indimenticabile Otello.

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