Roma-Tokyo, il volo che cambiò la vita di Maretto

Con una mostra Cadoneghe celebra il centenario rinviato nel 2020 per la pandemia e il presidente Mattarella invia la medaglia di riconoscimento 
Cristina Salvato

L’impresa



Per celebrare il centesimo anniversario del volo Roma-Tokyo il comune di Cadoneghe ha organizzato una settimana di iniziative culturali e una mostra fotografica e documentale, a cura dell’Aeronautica militare, dal 29 maggio al 6 giugno in villa Da Ponte. Tra gli oggetti in esposizione ci sarà anche la medaglia di bronzo assegnata all’iniziativa dal presidente della Repubblica Mattarella quale suo premio di rappresentanza, giunta in municipio la scorsa settimana.

Il volo fu un’impresa epica ed ebbe tra i protagonisti anche un cittadino di Cadoneghe, Roberto Maretto. La paternità dell’idea di un volo dall’Italia al Giappone si deve al poeta aviatore Gabriele D’Annunzio il quale, nel 1919, la condivise con Harukichi Shimoi, scrittore nipponico, all’epoca docente all’Istituto di Lettere orientali di Napoli. L’impresa fu affidata agli equipaggi di due SVA-9, che si levarono in decollo il 14 febbraio 1920 da Centocelle, in provincia di Roma, e che erano formati dai piloti Arturo Ferrarin e Guido Masiero, con i rispettivi motoristi Gino Cappannini e Roberto Maretto. Fu il primo collegamento aereo tra Europa ed Estremo Oriente: un viaggio di 106 giorni, per un totale di diciottomila chilometri e 112 ore di volo. Due chili di zucchero, una bottiglia di acqua di colonia, una camicia e un paio di mutande il bagaglio che ognuno di loro portava con sé, come scrisse Arturo Ferrarin. Tra soste e avarie, i due aerei si divisero proseguendo separatamente per Tokyo, dove atterrarono trionfalmente il 31 maggio, accolti da 200 mila giapponesi: seguirono 42 giorni di celebrazioni ufficiali.

Roberto Maretto nacque a Cadoneghe il 5 aprile 1892, nel casone col tetto di paglia in via Bagnoli dove vivevano il padre Pietro e la madre Luigia. Crebbe distinguendosi per intelligenza e doti manuali e cominciò a lavorare alle Officine Ansaldo di Genova. Prestò servizio militare in artiglieria, poi come motorista nei reparti di aviazione. Raggiunse il grado di maresciallo maggiore operando come motorista nelle squadriglie da ricognizione e al Reparto Alta Velocità di Desenzano. Nel 1920 gli fu chiesto di partecipare all’impresa che avrebbe segnato la sua vita che documentò in un diario di volo. Il 7 maggio 1923 sposò Maria Levorato da cui ebbe i figli. Morì il 7 febbraio 1942 all’ospedale militare di Padova, per una malattia contratta in servizio. —



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