Rossaro radiato dall’Ordine «Curerò ancora i miei pazienti»
Il medico è stato condannato in Cassazione per omicidio colposo: vitamine a un malato di tumore «Non sono contro la chemioterapia, ma per la corretta informazione e la libertà di scelta terapeutica»

Paolo Rossaro, il dottore di famiglia già condannato in Cassazione per l’omicidio colposo di Cristian Trevisan, è stato radiato dall’Ordine dei medici di Padova. Il duro provvedimento è stato comunicato in questi giorni al medico per aver curato, nel 2007, il camionista vicentino affetto da linfoma di Hodgkin con vitamina C e integratori.
Dottor Rossaro, cosa ne pensa di questa decisione?
«Per quarant’anni non ho mai avvertito la funzione dell’Ordine, se non come colui che castiga. Una sentenza che arriva dopo 10 anni non ha valore dal punto di vista della garanzia della professione. Nel frattempo avrei potuto comportarmi da figlio di Maria e aver causato chissà quanti malanni. L’Ordine ha sbagliato tutto, è soltanto repressivo».
Come si comporterà?
«Io continuerò a lavorare. Mi appellerò alla Commissione centrale di Roma e alla Cassazione. Ci sarà un secondo giudizio, un terzo e via dicendo. L’Ordine non può privarmi di quarant’anni di esperienza e non può negarmi il diritto aver conquistato una laurea in Medicina e chirurgia. Ho fatto medicina di famiglia, ma sono in pensione da tanti anni. Mi sono sempre dedicato alle malattie degenerative che vanno dall’artrosi al tumore».
Che approccio ha avuto nella cura?
«Nella mia vita ho seguito decine di migliaia di persone, purtroppo ad un certo punto qualcuno si è fatto prendere da un desiderio folle».
Ha detto che Cristian Trevisan gli aveva sottratto le ricette per poi compilarle da solo.
«Lasciamo stare è un errore della fase difensiva. Tant’è vero che ho cambiato tre avvocati prima di finire nel calderone della cosiddetta giustizia. Il suggerimento dato da uno di loro è stato sbagliatissimo».
È contro la chemioterapia?
«Io non sono contro niente. Io sono per la corretta informazione e per la libertà di scelta terapeutica. L’uomo deve essere in grado di decidere per la propria esistenza, sempre: per questo mi sono battuto nella vita».
E Cristian Trevisan?
«Anche quel giovane è stato informato della sua malattia, sia a livello ospedaliero che dal sottoscritto. Temeva di morire come il padre. Non sta a noi decidere, possiamo solo prenderli per mano e accompagnarli lungo il sentiero della vita. Il presidente di un Ordine mi ha detto che avrei dovuto fargli un Tso o chiamare uno psichiatra. La storia ci ha dato ragione: il ragazzo ha fatto la chemioterapia ed è guarito, dimesso dall’ospedale con totale remissione della malattia. Ma, alla fine, se n’è andato tre mesi dopo come era già successo al papà».
Oggi si parla tanto di medicina alternativa: è una moda?
«È tutto di moda. Oggi la medicina è un’azienda che ha come prodotto finale gli esseri umani, la sofferenza. Purtroppo quest’azienda è diretta da manager che aprono e chiudono i reparti per mettere a posto i conti. Oggi il 40% delle persone si rivolge alla medicina complementare perché ha vissuto il fallimento della medicina tradizionale. La presunzione che la nostra medicina salvi tutti non è realtà».
Quindi lei continua a svolgere il suo lavoro con i suoi pazienti affezionati?
«Sì. Quando sono stato convocato all’Ordine dei medici, sono arrivate circa 400 persone a mio sostegno, dal Trentino, Friuli, Emilia e Veneto».
Cosa ne pensa dell’idea del medico ciarlatano?
«I ciarlatani ci sono in qualsiasi categoria professionale. Dobbiamo avere l’umiltà di comunicare di più tra noi. Se una frattura riesce a star bene con l’omeopatia, perché scandalizzarsi?».
Elisa Fais
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