Salmaso: «Quel feto era malformato Lo scrissi nel referto»
Aveva visto giusto il dottor Roberto Salmaso, anatomo patologo dell’Azienda ospedaliera: quel feto aveva gravissime malformazione. E non sarebbe sopravvissuto, anche se si fosse atteso il termine della gravidanza. Eppure il ginecologo Guglielmo Serpotta per due anni è stato indagato con l’accusa di aver praticato un aborto fuori termine su un feto sano. Un’accusa contestata in concorso alla paziente trentenne che, con grande sofferenza, decise per l’interruzione di gravidanza. Il pubblico ministero Orietta Canova ha chiesto l’archiviazione del procedimento penale sulla quale si pronuncerà il gip Paola Cameran. Eppure quando la notizia venne diffusa, nell’estate 2010, risultò che ad “inchiodare” il collega fu il referto del dottor Salmaso, aiuto nell’Unità complessa di Anatomia patologica diretta dal professor Massimo Rugge ed esperto di patologia cutanea neoplastica infiammatoria, con un master europeo in fetopatologia. Non era vero. Al contrario, se quel referto fosse stato rispettato, non ci sarebbe mai stato un esposto in procura da parte dell’Azienda ospedaliera.
Il dottor Salmaso, infatti, aveva rilevato in quel feto, del peso di 611 grammi, un’anomalia del contorno cranico con turricefalia, un impianto basso con retro-rotazione delle orecchie con anomalie strutturali, un’ipoplasia della radice nasale, sindattilia cutanea dei piedi e asimmetria del torace. Insomma, pesantissime malformazioni riscontrate nella consulenza medico-legale eseguita dal professor Raffaele Giorgetti e dal collega Gianluigi Pilu su incarico della procura padovana.
E allora, dottor Salmaso, come mai due anni fa venne diffusa la notizia che il suo referto aveva evidenziato un feto sano?
«Non riesco a spiegarmelo» risponde il medico affiancato dal suo legale, l’avvocato Stefano Fante. «Quel feto arrivò sul mio tavolo in seguito a una richiesta della divisione di ginecologia per displasia scheletrica, una malformazione ossea. Richiesta firmata dal medico di sala parto (la firma è illeggibile) il 14 luglio 2010 alle ore 23.20, vistata dalla direzione sanitaria: si sollecitava riscontro autoptico a scopo accertamento delle cause di morte ai sensi della legge. Effettuai l’autopsia il 16 luglio con Tac».
Quando fu pronto il referto?
«Lo consegnai il 26 luglio. Non ho dato peso a quel documento. Era evidente il risultato e fui invitato a stare in silenzio rispettando il segreto istruttorio. Davo per scontato che sarebbe venuta alla luce la verità sul suo contenuto».
Nel referto lei rileva gravi malformazioni: la sua diagnosi avrebbe dovuto essere dirimente per risolvere ogni dubbio...
«Assolutamente sì. La segnalazione in procura mi risulta sia stata fatta prima che fosse completo il mio referto».
Qualcuno lo ha strumentalizzato?
«É evidente, ma io ne ero inconsapevole. Qualcuno mi ha attribuito un referto che stabiliva il contrario di quanto da me verificato. La conclusione dell’indagine conferma il mio accertamento diagnostico. Se si fosse atteso l’esito dell’autopsia, non sarebbe nata questa dolorosa vicenda».
Insomma quel feto era gravemente malformato e lei lo aveva ribadito nel referto autoptico?
«È così. C’erano una serie di malformazioni che avrebbero pregiudicato la sopravvivenza del feto».
L’interruzione di gravidanza rispettò le condizioni di legge secondo il suo referto?
«Con l’autopsia appurai che erano state rispettate le condizioni di legge per quell’interruzione: c’era la grave malformazione del feto e un grave pericolo per la salute fisica della donna».
E, allora, su quale base fu fatto l’esposto?
«Non lo so. Quando mi arrivò la richiesta dell’autopsia, seppi che c’era grande agitazione in reparto. Forse da lì partì la segnalazione».
Cristina Genesin
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