Dopo 105 anni chiude il panificio Pasinato a San Giorgio in Brenta

Il 31 dicembre si spegne lo storico forno del paese, l’addio commosso dei titolari: «I clienti sono diventati parte della nostra famiglia»

Silvia Bergamin
Maria Pegoraro e Piergiorgio Pasinato nel loro panificio
Maria Pegoraro e Piergiorgio Pasinato nel loro panificio

Dopo 105 anni di profumo di pane e farine appena macinate, il panificio di via dei Borromeo a San Giorgio in Brenta chiude i battenti. Una storia – quella del panificio Pasinato, a due passi dal centro della frazione di Fontaniva – cominciata nel 1921, subito dopo la prima guerra mondiale, quando il nonno Luigi aprì il primo forno del paese, e che ha attraversato tre generazioni di panificatori.

Una storia che finisce il 31 dicembre con il nipote del fondatore, Piergiorgio Pasinato e la moglie Maria Pegoraro, entrambi 64enni, che salutano il loro pubblico con un misto di nostalgia e gratitudine. «Sono nato e cresciuto qui», racconta Piergiorgio, «la nostra è una famiglia di panificatori, dispiace soprattutto per i clienti, molti li conosco da quando erano bambini».

Il papà di Piergiorgio, Gavino, aveva appena dieci anni quando cominciò a lavorare, mentre l’attuale titolare è subentrato come garzone nel 1975: ha girato per il paese portando il pane a domicilio, imparando mestieri e segreti del forno fino a diventarne titolare a pieno regime nel 1992.

Maria, sua moglie, iniziò a collaborare nel 1985 e insieme hanno condiviso quarant’anni di matrimonio e lavoro senza soluzione di continuità, sveglie che suonavano sempre alle tre del mattino e un ritmo scandito da farina, forno e lievitazione. «Non è un mestiere faticoso», sottolinea il tenace Piergiorgio, «ma certamente impegnativo: la sveglia suona sempre molto presto. È un lavoro importante, fatto a servizio dei clienti. In questi anni ho visto come sono cambiate le abitudini: dai due tipi di pane di una volta, oggi c’è da sbizzarrirsi».

La chiusura non cancella la memoria del panificio, di chi entrava ogni giorno, dei bambini incuriositi, delle focacce e dei dolci tradizionali che accompagnavano le feste. «Cosa faremo adesso?», sorride Maria, «magari qualche viaggio in più, ci dedicheremo alla famiglia e ci riposeremo».

E mentre il forno si spegne, il paese perde non solo un punto di riferimento gastronomico, ma un pezzo di storia locale, un filo diretto con un passato capace di intrecciare fatica, dedizione e tradizione. «Ci mancheranno tanto le loro colombe e il profumo meraviglioso, antico e unico del pane appena sfornato», racconta un’affezionata cliente. Resta anche la sensazione di un pezzo di mondo che fatica a reggere, fra grande distribuzione e competizione industriale. E sembra smarrirsi anche quello che era il senso del pane, non solo un alimento, ma un qualcosa di genuino, semplice, essenziale, autentico. —

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