San Salvaro, monastero benedettino dove nacque una schola sacerdotum

gli ultimi secoli
Ha una sua storia anche la frazione di San Salvaro, l’unica del paese, che si trova dall’altra parte del Fratta, praticamente ai confini con la provincia di Verona: una storia che ruota soprattutto attorno alla pregevole chiesa romanica, di fianco alla quale ci sono i resti di un edificio con tanto di chiostro: quel che rimane di un monastero dell’ordine camaldolese, come suggerisce uno stemma in trachite posto al di sopra del portale di ingresso. Uno dei tanti segni lasciati dalla fondamentale impronta benedettina, cui tanti meriti vanno riconosciuti nel recupero del territorio dopo le devastanti invasioni barbariche seguite alla caduta dell’impero romano.
Le cronache ne parlano per la prima volta poco dopo l’anno Mille, quindi più o meno all’epoca in cui compare il toponimo di Urbana. Abbiamo anzi una data precisa fino al giorno stesso: il 10 marzo 1084 si fa riferimento a un prete Giovanni che abita presso la chiesa. Pochi decenni dopo, ancora delle donazioni effettuate da famiglie nobili, come per il centro abitato principale, consentono a questa piccola realtà di crescere: si ha notizia infatti dell’esistenza di una “schola sacerdotum” che finisce per trasformarsi in un piccolo convento.
Il vescovo padovano San Bellino nel 1144 lo pone sotto le dipendenze dell’abbazia di Carceri; e nel 1181 il suo successore Giordano conferma questa disposizione. Siamo ancora dentro il filone dei monaci portuensi; nel 1407, due anni dopo la conquista da parte della Serenissima, il complesso di Carceri passa ai camaldolesi, e anche la piccola realtà di San Salvaro conosce di conseguenza lo stesso destino. Infine, quando il 30 gennaio 1690 si decide la soppressione del monastero delle Carceri, San Salvaro passa sotto le dirette dipendenze della diocesi di Padova.
Quanto al paese, le precarie condizioni di vita degli abitanti non conoscono sostanziali cambiamenti né sotto Napoleone né sotto gli austriaci né col regno d’Italia: un lungo periodo storico in cui bisogna fare i conti con una miseria diffusa, come del resto in tante parti della Bassa padovana. Solo nel secondo dopoguerra alla lavorazione e commercializzazione dei prodotti della terra (specie nell’ortofrutticolo) si accompagnano attività artigianali e industriali nei comparti del mobile, dell’abbigliamento e dell’edilizia che consentono di consolidare l’economia locale e di creare occupazione.
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