“Sangue” di Delbono, choc a Locarno

LOCARNO. Da un lato il piano artistico: la storia di una comune sofferenza per la morte della madre del regista, ripresa fino agli ultimi giorni, e di quella della moglie dell’ex brigatista rosso Giovanni Senzani; dall’altro un piano politico al quale si sovrappone un tema etico: le riprese così crude di un’agonia e il racconto dell’omicidio di Roberto Peci, fratello di Patrizio primo Br pentito, perché “traditore”, da parte dello stesso Senzani.
È polemica sul film “Sangue” di Pippo Delbono, unico italiano in concorso al Festival di Locarno. In una trama un po’ confusa, incerta, si inizia e si finisce nelle case dell’Aquila diroccate dal terremoto, si delinea un rapporto, un’amicizia, fra Delbono e Senzani. Ma un dramma li accomuna davvero: la malattia di Margherita, la mamma di Pippo, e quella di Anna, la compagna dell’ex terrorista che lo ha aspettato per i 23 anni di prigione.
Senzani («senza che nessuno glielo abbia chiesto», puntualizza il regista) parla dell'omicidio di Roberto Peci, «una decisione politica». Si sa che non si è mai pentito, davanti alla camera dice che non crede nella redenzione, ma il suo freddo racconto è scioccante. Non fa una minima autocritica, si sofferma piuttosto sul posto squallido e diroccato, della provincia romana, dove fu ammazzato, dopo 55 giorni di “processi” e interrogatori, Roberto Peci, fra l’altro ripreso nel momento della morte. Sembra una questione di forma, di estetica. Poi afferma, nel video, di essere stato torturato dalle forze dell’ordine.
Alla proiezione del film sono seguite, immediate, le polemiche. Delbono di fronte ai giornalisti ha nega seccamente di aver strumentalizzato i due argomenti: «Quando ci siamo conosciuti con Giovanni volevo fare un dialogo intitolato “Gli sperduti”».
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