«Schiavonia deve restare ospedale per tutti i malati»

Appello all’Usl dei 44 primi cittadini della Bassa: «Il peso dell’emergenza Covid  va ripartito su tutto il territorio. Non vanno penalizzati i servizi della nostra zona» 
09 aprile 2020. Sit in dei sindaci presso ospedale di Schiavonia con arrivo della Polizia Locale di Monselice. Nella foto: la Polizia Locale di Monselice procede a verbalizzare l'assembramento.
09 aprile 2020. Sit in dei sindaci presso ospedale di Schiavonia con arrivo della Polizia Locale di Monselice. Nella foto: la Polizia Locale di Monselice procede a verbalizzare l'assembramento.

MONSELICE

«L’ospedale “Madre Teresa” di Schiavonia deve rimanere punto di riferimento anche per gli altri pazienti della Bassa Padovana e il peso dell’emergenza Covid deve essere ripartito in tutto il territorio della provincia, superando le logiche delle ripartizioni territoriali in ambito sanitario». A chiederlo sono i 44 sindaci dell’ex Usl 17 dopo la lunga videoconferenza di lunedì con i vertici dell’Usl 6 Euganea, con il sindaco di Este Roberta Gallana che ha diramato la posizione congiunta.

Gli amministratori della Bassa sono preoccupati per la sorte dell’ospedale di Schiavonia, destinato a tornare “Covid hospital” con l’ingresso nella “fase 3”, ormai imminente vista la curva dei contagi in rapida ascesa. «Siamo consapevoli che i malati covid devono necessariamente essere divisi dagli altri pazienti, per salvaguardare entrambi, ma con la chiusura dell’ospedale di riferimento per la Bassa Padovana si allarga una ferita ancora aperta e si chiede ancora una volta a tutto il territorio un sacrificio enorme», affermano i sindaci, da Este a Monselice, da Montagnana a Conselve, concordi nel sottoscrivere un documento congiunto con delle proposte rivolte alla dirigenza sanitaria padovana.

A partire appunto dalla necessità di scongiurare un nuovo lockdown per tutte le attività non-Covid a Schiavonia, considerati i tempi di percorrenza per gli altri pazienti e ammalati tra le zone del montagnanese, per fare un esempio, e gli ospedali di Camposampiero o Cittadella. I sindaci chiedono che vengano mantenuti aperti «anche con l’acutizzarsi dell’emergenza, i reparti di oncologia, psichiatria, punto nascite e attività pediatrica, punto prelievi, nefrologia e Pronto Soccorso e vengano attuate tutte le misure necessarie per mantenere attiva l’unità coronarica, nonché, quanto più possibile, chirurgia ordinaria e d’urgenza e chirurgia oncologica nonostante la grave carenza generale di anestesisti».

A questo si aggiunge l’appello per una maggiore flessibilità nell’organizzazione dei servizi sanitari e nell’individuare gli ospedali di riferimento. «In questa emergenza pandemica è necessario favorire la flessibilità ed un concetto di sanità di territorio» affermano i sindaci «indipendentemente da province e Usl di appartenenza. Chiediamo che possano essere utilizzati anche dai cittadini della Bassa Padovana gli ospedali di confine come Noventa Vicentina, Legnago San Bonifacio, Rovigo e che si provveda quanto più possibile a distribuire le attività ambulatoriali e di cura anche negli ospedali di confine oltre che nell’Uls 6».

Oltre agli ospedali l’attenzione degli amministratori della Bassa è rivolta anche ai servizi domiciliari e alle attività di ambulatorio: «Abbiamo accolto positivamente l’assunzione dei 37 medici della continuità assistenziale per essere vicini ai pazienti che non necessitano di ricovero, così come l’ordinanza sui tamponi dai medici i base, con i quali siamo pronti a collaborare per risolvere i problemi logistici. Serve inoltre maggior personale anche al dipartimento di Prevenzione per aggiornare il monitoraggio in tempo reale e assistere gli istituti scolastici in questa fase delicata, così come serve rinforzare i punti prelievo e le attività ambulatoriali». L’appello dei sindaci per garantire la continuità assistenziale e sanitaria è raccolto dal senatore Udc Antonio De Poli che rilancia la proposta di «valutare con attenzione la riapertura del vecchio ospedale di Monselice».





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