«Senza la sua sede storica per il Selvatico è la fine»
L’appello di Elio Armano, scultore ed ex allievo dell’istituto d’arte cittadino «Quell’edificio va restaurato, si apra un dibattito su come salvare la scuola»

«Il prossimo 2 dicembre, nel 150esimo anniversario della sua fondazione il Selvatico sarà chiuso e i suoi studenti dispersi. È un pezzo identitario della città che rischia di sparire». L’appello arriva da un Elio Armano impegnatissimo a preparare la sua prossima mostra personale che aprirà a fine settembre a Vicenza. Oggi affermato scultore (nonché figura politica di primo piano della sinistra padovana), non dimentica i suoi anni da studente in quell’edificio neoclassico disegnato da Jappelli e ispirato al palazzo per eccellenza simbolo della romanità: il Pantheon. «Quel luogo non può essere abbandonato: serve una discussione franca e aperta alla città».
Armano quella sede va ristrutturata e la Provincia non ha i soldi. Che fare?
«Voglio partire da una considerazione. La sbandierata abolizione delle Province è stata solo piena di belle parole. Oggi l’ente c’è ancora, con tutte le sue competenze ma senza risorse economiche e senza la vigilanza democratica di un organo elettivo».
Siamo in un vicolo cieco. Ma vale per tutte le scuole, non solo per il Selvatico.
«È un problema grande come un bastimento. Ma oggi si dice che il “petrolio” dell’Italia sono i suoi beni artistici e culturali. Io non sono del tutto d’accordo perché il petrolio si consuma, i nostri monumenti no. Sono un patrimonio che va tutelato e fatto conoscere. E per alimentare la più grande attrazione del Paese ci vorrebbero delle strutture scolastiche adeguate. Penso anche ai mille problemi del conservatorio Pollini».
In una città come Padova che ruolo ha avuto un istituto d’arte come il Selvatico?
«È stato il luogo di formazione degli artigiani con la “A” maiuscola. E il Selvatico nasce nel 1867, sei anni dopo l’unità d’Italia, in una città operosa e artigianale».
Un’intuizione del marchese Pietro Selvatico.
«Lo studioso a cui è dato il merito di aver salvato il patrimonio della pittura pre-rinascimentale, che nell’Ottocento non era adeguatamente considerata. Anche Giotto era tra i cosiddetti “primitivi”. Selvatico volle una scuola di disegno e intaglio per gli artigiani. Le prime lezioni si svolgevano nella sua casa di via XX settembre».
Quando si arrivò nella sede che oggi tutti conoscono?
«Nel 1910. Lì c’era il macello, che venne trasferito in via Cornaro. E anche se l’edificio era, ed è ancora, di proprietà del Comune, la scuola ha sempre avuto una sua autonomia. Negli anni ’70 è stato oggetto di ampliamenti, anche discutibili. Ma necessari perché l’elemento strategico del Selvatico sono i laboratori».
Al di là dell’edificio fisico, quale è stato il valore del Selvatico per Padova?
«Ha fecondato l’attenzione per la qualità e il buon gusto di tutta la città. In quell’edificio c’è una raccolta prestigiosa e rara di calchi in gesso. Nella ricchissima biblioteca c’è il lascito di Egidio Meneghetti, che era anche un raffinato collezionista».
Più alcuni dei lavori degli ex allievi.
«Da questa scuola sono passati insegnanti e artisti che si ricordano ancora come un vanto della nostra città. Difficile ricordarli tutti. C’è Amleto Sartori e il figlio Donato, tra gli scultori, poi gli Strazzabosco, Nerino Negri, Rodella, Abate, Iral, Sandi e Petrucci. Poi pittori come Milani, Meneghesso, Brombin, Lovison, Corazzina e Bortoluzzi. E anche grandi architetti come Zabai, Nicoletto, Boschetto e Zecchinato».
E la scuola orafa padovana.
«Nasce per ispirazione dell’allora docente di oreficeria Mario Pinton. Il Selvatico è stato al centro di un’attenzione europea per il nuovo gioiello. Con grandi maestri come Pavan, Babetto, Visintin e Marchetti».
In questo momento il Selvatico è anche senza direzione perché il preside Walter Rosato è in partenza.
«Ci manca tanto un uomo come Giulio Bresciani Alvarez. In questo momento non sappiamo ancora chi sarà il prossimo direttore».
È anche da questo vuoto che nasce il suo appello?
«È un problema che deve essere assunto e discusso dalla città. Serve un dibattito pubblico su cosa fare dell’edificio jappelliano. È chiaro che lì non c’è spazio per tutti gli allievi. Ma per il Selvatico non avere più quella sede sarebbe la fine».
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