Si prostituiscono in pieno giorno per combattere crisi e concorrenza

PADOVA. Corpi in vendita in pieno giorno su una delle strade più trafficate della città. Le prostitute, infatti, hanno fatto la loro comparsa a mezzogiorno in corso Australia, all’altezza dell’ex Foro Boario. La crisi detta legge anche nel mercato del sesso.
La concorrenza abbassa i prezzi e le prostitute per sopravvivere cambiano zone e orari. Ritorna sulla strada anche chi era riuscito a liberarsi dalla tratta della prostituzione: giovani donne nigeriane o dell'Est Europa alle quali si affiancano donne italiane, con marito e figli, che si spingono fino a vendersi per la prima volta perché il lavoretto in nero non basta più.
È il drammatico quadro dipinto da chi affianca sulla strada le donne vittime di sfruttamento per dar loro la possibilità di una nuova vita. «Se potessimo offrire delle opportunità di lavoro sono sicura che avremmo molte donne che lasciano la strada» spiega Barbara Maculan, referente dell'associazione Mimosa che lavora in collaborazione con il Comune, «invece possiamo dare solo un sostegno dal punto di vista sanitario. Ma le prostitute sono in aumento e i finanziamenti calano». I numeri forniti dall'associazione Mimosa parlano di circa 270 lucciole presenti sulle strade di Padova nel corso del 2012.
Quest'anno gli operatori ne hanno incontrate finora 221 ma, spiega la presidente, la tendenza è in aumento. Ad accorgersene sono anche i cittadini, e non solo di notte. Da qualche giorno le squillo hanno fatto la loro comparsa in corso Australia, nei pressi dell'ex Foro Boario, dove sono state avvistate in pieno giorno. A notare la loro presenza anche Maurizio Saia, esponente del centrodestra padovano, che ha denunciato pubblicamente la loro comparsa. «Sono molto visibili per chi viaggia sulla tangenziale» spiega Saia, «e rappresentano anche un problema per la viabilità perché gli automobilisti rallentano o fanno manovre azzardate».
«Le abbiamo notate anche noi» precisa il comandante della polizia municipale Lorenzo Panizzolo, «non sono ancora un fenomeno costante ma terremo la zona sono controllo».
Secondo gli operatori dell'associazione Mimosa le giovani potrebbero venire da un accampamento rom, un tipo di sfruttamento con regole proprie. Ma a Padova il mercato della prostituzione è in continua evoluzione e segue a tutti gli effetti le logiche del mercato.
«Le ragazze si spostano secondo variabili molto diverse» continua la Maculan, «basta anche la costruzione di una nuova strada. Ad esempio ultimamente abbiamo notato che la rotonda di via Annibale Da Bassano, che è diventata uno snodo di rilievo per arrivare al cavalcavia Sarpi-Dalmazia, si è trasformata in una nuova vetrina molto importante perché lungo via del Plebiscito i prezzi si erano abbassati troppo. Un altro esempio è strada Battaglia, dove ci sono alcuni locali che richiamano parecchie persone. È un luogo che dà visibilità ma è anche una via molto pericolosa».
Le nuove geografie del sesso non sono l'unico cambiamento in atto. Anche gli orari si allungano: per assicurarsi entrate sufficienti le lucciole sono costrette ad iniziare a lavorare prima e concludere a notte inoltrata. Il tutto per poche manciate di euro. Le nigeriane, le più sfruttate, chiedono circa 30 euro per un rapporto completo ma a volte scendono a 15. Le ragazze dell'Est sono più care e arrivano a chiedere 50 euro.
In questo panorama di disperazione spuntano anche le italiane. «Gli anni scorsi ne avevamo notate una o due nel corso dell'anno» continua la presidente, «mentre nei primi otto mesi del 2013 ne abbiamo contattate 12. Alcune sono situazioni che conosciamo, persone che vivono per strada e passano da una dipendenza all'altra. Ma altre sono signore che dicono di uscire solo quando ne hanno bisogno. Donne con figli e famiglia, sulla quarantina, che vengono da situazioni precarie come lavoretti in nero». C'è invece chi, dopo anni sulla strada, ha assaporato la vita libera ma è costretta dal bisogno a tornare a vendersi. «È il caso di alcune straniere che eravamo riuscite ad aiutare con qualche impiego» conclude la Maculan, «ma nel frattempo le fabbriche chiudono e non si trovano altri lavori. Per loro questo passaggio è particolarmente doloroso. Non c'è niente di peggio di tornare in strada».
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