«Tanto lavoro, così sono arrivata a 110 anni»

PADOVA. Non ha un capello bianco, e non perché usi tinture: quel colore castano-rossiccio è il suo naturale. Da due anni è a letto, le forze rubate dalla vecchiaia; in compenso è vigile, presente e quando riceve visite, magari non diventa ciarliera ché non è mai stato nel suo carattere, ma chiacchiera volentieri. Si stanca in fretta e dorme molto.
E’ un fenomeno la signora Rosina Paesan, portatrice di una fibra che fa impallidire, tutti assieme, i patriarchi biblici Matusalemme in testa. Già, perché venerdì Rosina, che abita a Padova a casa della figlia Maria, 68 anni (l’altro figlio Antonio ha 84 anni), ha compiuto 110 anni. Centodieci. Un secolo più due lustri. E’ la persona più anziana del Veneto, al 18° posto nel mondo (sono tutte donne): il record planetario di senescenza è della signora Emma, di Civiasco in Piemonte, classe 1899, ovvero 116 anni.
Per Rosina grande festa in famiglia, lei ha molto gradito. Nata a Campagna Lupia nel 1906 (l’anno dell’eruzione del Vesuvio che devastò Napoli), da famiglia contadina, aveva tre sorelle che non ci sono più. Frequentò fino alla seconda elementare ma coltivò sempre la lettura, soprattutto di Bibbia e Vangelo essendo religiosissima. «Fino a 108 anni era quasi del tutto autonoma, leggeva, si preparava il caffelatte con dentro il pane che le piace tanto, girava per casa», racconta la figlia Maria che a Rosina a dato due nipoti. Indipendente fino a 108 anni, mica bazzecole.
Una vita dura sui campi, la sua, fin da piccola quando si trasferisce a Codevigo con la famiglia: «Ha un carattere riservato, ci ha sempre raccontato poco: ci parlava delle bambole di pezza e pannocchie con cui giocava. E di quanto lavorava, e di quanta fatica si faceva a stare sui campi. Partiva la mattina, tornava la sera, mangiava polenta», continua la figlia. A 30 anni Rosina incontra Antonio Turin, uno del paese, e si sposa. Hanno un po’ di terra, la loro vita è lì. Ha vissuto da bambina la prima guerra, e poi è arrivata la seconda, la fame, i bombardamenti, «i tedeschi che quando passavano rubavano le galline» è uno dei suoi ricordi ricorrenti. E lei sempre china sulla terra, a badare agli animali, a tirare su i figli, a fare la casalinga in casa con suoceri, cognate, nipoti. Poi, nel 1973, il marito Antonio muore: il giorno del funerale Rosina indossa il lutto e non lo abbandona mai più. «Sempre e solo vestita di nero, al massimo grigio scuro», spiega Maria, «Una lotta farle accettare metti solo qualche fiorellino anche scuro». Rimasta vedova, si trasferisce a Padova, a San Carlo, a casa della figlia, dove ha fatto la nonna a tempo pieno e dove è oggi. Poca soddisfazione a rivolgerle la più banale delle domande: «C’è un segreto per arrivare così a 110 anni?». Lei risponde: lavorare tanto e mangiare di tutto. Sobria, come sempre. Auguri, Rosina.
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