Tassi esosi, pignorata la sede della banca

SANT'ELENA. I debiti accumulati per realizzare il capannone di una tappezzeria sono niente rispetto ai costi e agli interessi passivi che la banca ha imposto ai due piccoli artigiani. È il principio sancito come epilogo di questo progetto imprenditoriale finito male, che a vent’anni di distanza trova però una rivalsa grazie alla pronuncia del tribunale civile di Padova. E così la banca che aveva erogato un mutuo mai onorato, oggi si vede pignorare la sede legale.
È Davide che batte Golia. L’uomo che morde il cane. O più semplicemente un diritto che viene affermato. Ma quella che riguarda Franco Goldin e Romeo Simonato, soci in affari per mettere in piedi una tappezzeria nella zona artigianale di Monselice, è anche una storia di generosità e rapporti umani. Perché il credito di 105 mila euro che ora vantano dalla Banca Patavina (ex Bcc di Sant’Elena), è stato completamente ceduto ai cinque ex dipendenti e al commercialista. Con il risultato che è stata messa un’ipoteca sul quartier generale dell’istituto, in via Roma 10 a Sant’Elena. Dopo una miriade di casi in cui sono le banche a pignorare case, auto e aziende, stavolta è una piccola impresa ormai inattiva a far scattare i sigilli per l’immobile che ospita la banca.
«Parte tutto da un saldo negativo di 20 mila euro a cui viene applicata la commissione di massimo scoperto», spiega l’avvocato veronese Alberto Zanuso. «Abbiamo ricostruito oltre vent’anni di costi addebitati in conto corrente, giungendo alla conclusione che la banca aveva chiesto oltre 100 mila euro in più del dovuto». Tecnicamente si chiama “anatocismo bancario” e altro non è che l’applicazione di interessi su interessi. È un illecito civile spesso riscontrato nei vecchi conti correnti. Quello in questione era stato acceso nel 1993.
Franco Goldin e Romeo Simonato nel 2008 decidono di chiedere alla banca di fiducia un mutuo di 460 mila euro per realizzare il capannone che doveva ospitare la loro tappezzeria, in via Veneto 3 a Monselice. Arriva la crisi economica e, dopo varie traversie, smettono di pagare le rate. Ora la Banca Patavina, creatura nata dalla fusione del Credito Cooperativo di Sant’Elena e Piove di Sacco, reclama il pagamento di quei 460 mila euro e chiede formalmente la compensazione. Della serie, ti dovrei dare 105 mila euro ma tu me ne devi 400 mila: quindi pari, patta e tanti saluti. Invece no. Il giudice Maria Antonia Maiolino rigetta la richiesta dell’istituto di credito che avrebbe avuto l’occasione di chiedere la restituzione della somma erogata per il mutuo ma non l’ha fatto al momento giusto. Dunque non può farlo ora, solo come reazione agli interessi astronomici che i correntisti chiedono di riavere. Così il 25 ottobre dello scorso anno viene messo nero su bianco il verbale di pignoramento della sede di via Roma dell’ex Bcc Sant’Elena, nella Bassa padovana. «Il giudice potrebbe ordinare da un momento all’altro la liberazione dell’immobile. Ho chiesto io che venisse aggredita la sede centrale. La scelta del bene da pignorare spetta a chi vanta il credito», ricorda l’avvocato Zanuso sventolando l’atto che certifica la nomina di un perito per la valutazione dell’edificio, cosa che avverrà il 19 ottobre prossimo. Nel frattempo Moreno, Alessandra, Dorella, Vilma e Nicola, gli ex dipendenti rimasti senza lavoro, hanno ricevuto la lieta notizia. Non appena la banca si deciderà a pagare, quei soldi saranno loro. Ora hanno più di cinquant’anni e non è stato facile rimettersi in gioco nel mondo del lavoro. C’è chi riceverà 20 mila euro, chi 30 mila. Un risarcimento morale, oltre che economico.
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