Toni Negri, il sette aprile 1979 e le prime pagine storiche del Mattino di Padova

La raffica di arresti nell'ambito della lotta al terrorismo e i collegamenti tra Brigate Rosse e Autonomia Operaia

La prima pagina del Mattino di Padova del 13 aprile 1979
La prima pagina del Mattino di Padova del 13 aprile 1979

Un’altra Padova, un altro Veneto. Un’altra Italia. Un sabato di alcuni decenni fa, 1979, scattava l’operazione 7 aprile: con 22 ordini di cattura, 70 di comparizione e un centinaio di perquisizioni domiciliari nell’area dell’ultrasinistra. Pesante come un macigno l’imputazione nei confronti di nove degli arrestati, tra cui Toni Negri, Franco Piperno e Oreste Scalzone (questi ultimi due peraltro latitanti): avere costituito e diretto “un’associazione denominata Brigate rosse, costituita in banda armata con organizzazione paramilitare e dotazione di armi, munizioni ed esplosivi, al fine di promuovere l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato e di mutare violentemente la Costituzione”.

Associazione sovversiva

Per gli altri tredici imputati, l’accusa era di associazione sovversiva per la costituzione di gruppi riferibili ad Autonomia operaia, con l’obiettivo di sovvertire violentemente gli ordinamenti dello Stato. Riavvolgiamo adesso il film del 1979. Siamo nell’epicentro dei devastanti anni di piombo: per rimanere ai due soli anni tra il ’77 e allora, il Veneto aveva dovuto registrare 1.197 atti di violenza eversiva, 798 dei quali nella sola Padova (447 attentati, 132 aggressioni, 129 tra rapine ed espropri). Per non parlare, prima e dopo, degli assassini, delle gambizzazioni, delle bombe, in una parola dell’eversione sia rossa che nera, con l’immancabile aggiunta dei servizi deviati. E con una recrudescenza dopo gli arresti del 7 aprile: 29 attentati in Veneto già l’ultimo giorno di quel mese, tra cui uno alla sede del tribunale di Padova. Ma c’è un aspetto di straordinaria valenza che emerge dalla rivisitazione di quella sanguinosa e travagliata stagione: la capacità del sistema di reagire e alla fine di riuscire a prevalere.

Democrazia a rischio

Non c’è nessuna esagerazione nel sostenere che in quegli anni Settanta vennero messi a rischio gli stessi fondamenti della democrazia, con decine e decine di vittime in tutta Italia tra politici, magistrati, docenti, sindacalisti, giornalisti, avvocati, operai, semplici uomini della strada. L’esito di quello che i suoi protagonisti definirono “l’attacco al cuore dello Stato”, a partire dal sequestro e dall’assassinio di Aldo Moro, era tutt’altro che scontato. Ma fu determinante la ferma e convinta reazione che saldò istituzioni e società in un patto senza cedimenti.

Funzionò anche a Padova; in “quella” Padova. Dove i soggetti istituzionali, politici, sociali, ma anche la stessa comunità di cittadini, seppero reagire in un clima di sostanziale coesione, rifuggendo dalla logica dell’emergenza per ribadire il valore della quotidianità; senza immiserirsi nella mediocrità della sterile polemica, dello scambio seriale di accuse, del rimpallo di responsabilità. E qui si salda il cerchio con “questa” Padova, che pur a fronte di vicende incomparabilmente più banali e lillipuziane si mostra divisa, smarrita, frantumata: non una società legata da vincoli comunitari, capace di identificarsi in valori condivisi; ma una silente sommatoria di individui, per giunta orfani di leadership capaci di farsi riconoscere come tali. Nessuno rimpiange il 7 aprile della violenza diffusa. Ma quanta nostalgia del 7 aprile della coscienza civile…

Le prime pagine storiche del Mattino di Padova

La prima pagina del Mattino di Padova del 13 aprile 1979
La prima pagina del Mattino di Padova del 13 aprile 1979

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