Tornado in Riviera del Brenta: un boato e poi la distruzione. Tra la macerie sorpresi due sciacalli: fermati, sono rom

VENEZIA. Non trovano le parole. Ma le cercano, con fatica, i superstiti del tornado che mercoledì ha schiacciato tre comuni della Riviera del Brenta.
«È stato come un boato», prova a dire Angelica Mancini appoggiata alla ringhiera piegata dal vento della sua casa di Dolo, «non lo avevo mai sentito, un rumore così». Raccontano che hanno sfiorato tegole veloci come proiettili, schivato alberi sradicati come fili d’erba, si sono salvati da auto lanciate come arieti contro le vetrate dei negozi, alla farmacia di Cazzago, o hanno pregato riparati sotto le scrivanie dell’ufficio mentre lassù, con raffiche di vento tra i 270 e i 320 chilometri all’ora, il tornado si mangiava il tetto del capannone e lo sputava a brandelli centinaia di metri più in là, come è successo ad Arino di Dolo. Hanno grumi di rabbia e paura che alcuni sciolgono con il pianto ma hanno anche tanta voglia di ripartire. Perché sanno di essere stati fortunati. A Porto Menai un uomo è morto schiacciato nell’auto rovesciata dalla furia del vento. Si chiamava Claudio Favaretto, 63 anni, abitava a Dolo.
I numeri del disastro. Il bilancio definitivo del centro regionale del 118 parla di 72 i feriti di cui due gravi soccorsi dai medici a bordo di venti ambulanze e due elicotteri mobilitati per la macchina dei soccorsi oltre ad altre 53 persone che si sono presentate ai pronto soccorso degli ospedali. Oltre 150 gli sfollati, che hanno trovato riparo dai familiari o negli alberghi che hanno messo a disposizione le stanze libere. Gli edifici danneggiati sono tra i 400 e i 500, e tra questi prestigiose ville venete come Villa Fini, una dimora del ’600 che è stata rasa al suolo. Il danno economico è di 55 milioni di euro, secondo le stime fornite dai sindaci. Quindici a Pianiga, fra i venti e i trenta a Dolo - dove sono state danneggiate molte ville storiche - e almeno dieci milioni a Mira. Per capire come si sia gonfiato il pallottoliere dei danni bisogna ripercorrere le orme del tornado, per capire quel che i testimoni fanno fatica a descrivere, immaginarsi al loro posto, mercoledì, tra le 17 e le 17.40 nella Riviera del Brenta.
Via Accopè, nasce la furia. È a Pianiga, in una zona di campagna intorno a via Accopè, che la furia prende forma. Chicchi di grandine grossi come olive, raffiche di vento che piegano le grondaie del tetto fino a farle toccare terra, come a casa di Massimo Favaretto. Duecento metri a est c’è l’azienda agricola di Bepi Cogo, 73 anni e un capello di paglia per proteggersi dal sole mentre cerca di sistemare i due ettari di viti che non ci sono più. «Sono riuscito a portare dentro le mucche, fortuna che la stalla ha retto». Ha retto perché il tornado stava facendo le prove. Per scatenarsi ha atteso, attraversata l’A4 Padova-Venezia, la zona industriale di Arino. Il capannone della Neon Stefanello, 25 dipendenti, che produce insegne luminose, è inagibile. Mentre gli operai di una ditta specializzata raccolgono con le tute bianche i brandelli di tetto - era in amianto capsulato - dentro il proprietario sta controllando una a una le macchine. «Il tetto è partito via, ci siamo nascosti sotto i tavoli, per miracolo non ci sono feriti. Fuori è scoppiata una centralina del gas, per fortuna siamo riusciti a spegnerla». Per sistemare il capannone ci vorranno 300 mila euro, 150 ne serviranno alla Zara Metalmeccanica.
Case rase al suolo. In centro a Cazzago il tornado ha fatto volare alberi e auto contro le vetrate dei negozi di via Monte Verena. «Per fortuna sono riuscito a chiudere, quasi fino a terra, la serranda, se no mi sarei trovato l’albero in farmacia», ricorda il medico Roberto Sannito, titolare della farmacia. «Abbiamo lavorato tutta la notte, e abbiamo riaperto», fa sapere con orgoglio. Un po’ più in là c’è Massimo Niero, titolare del bar. Ha una benda sulla fronte. Stava chiudendo gli ombrelloni, quando il vento lo ha travolto. Alle spalle della piazza decine di case le cui pareti sono crivellate dai colpi di tegole lanciate come proiettili. Decine di ragazzi volontari, con le carriole, aiutano i residenti a recuperare le macerie. A Dolo, in via Fratelli Bandiera e Melloni, non si è salvata una sola casa. Lungo il Naviglio del Brenta, per duecento metri, si vedono solo macerie. In via Tito c’è il negozio di alimentari Novello, dove il fratello del titolare, Gildo, è stato ferito in modo grave e ricoverato a Padova. È incredibile a credersi ma si è salvato l’alto camino della vecchia fornace Velluti. Le ville storiche che si affacciano sul Brenta sono mutilate. Più a Sud, verso Sambruson, gli stessi mattoni volati via, le stesse lamiere sulle strade e sui campi. E poi Porto Menai di Mira, il colpo di coda del tornado. Ha abbattuto un traliccio della tensione, ha fatto fermare un uomo, ha alzato l’auto e l’ha rovesciata, prima di spegnersi e scaricare, sfinito, le sue raffiche in laguna.
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