Tra arte e follia un confine estremo e doloroso

PADOVA. «Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all'’mprovviso di rosso sangue… sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco......
Di Silvano Mezzavilla

PADOVA. «Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all'’mprovviso di rosso sangue… sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco... un grande urlo infinito pervadeva la natura».

Così Edvard Munch raccontava l’ispirazione di quello che è il suo quadro più famoso e più rubato, “L’urlo”. E da qui parte “Furere. Tra follia e onirico”, mostra ospitata fino a gennaio alla Galleria Cavour di Padova.

Il tema è quasi classico. Il rapporto tra arte e follia attraversa buona parte dell’Ottocento e del Novecento, ma in questo caso viene accentuato un elemento particolare, perché la mostra raccoglie soprattutto opere in cui il dolore interiore, lo smarrimento, la perdita di se stessi esplode in qualche modo attraverso una spinta irrazionale e violenta. È il caso degli azionisti viennesi, un movimento degli anni Sessanta, cui è dedicata una sezione della mostra. Nelle performance, nei manifesti, nei quadri di Günter Brus, Hermann Nitsch e Rudolf Schwarzkogler il sangue la fa da padrone. L’arte diventa insieme sadica e masochista, viene portata all’estremo dell’autolesionismo, tenta di sconvolgere chi guarda, almeno quanto stravolge chi la fa. In questo senso la mostra, curata da Enrica Feltracco, documenta uno dei momenti più estremi della cultura del secondo Novecento, un punto in cui realmente follia e arte si toccano da vicino. Ma in mostra ci sono anche autori in cui la follia appare più quieta e più lucida. C’è un disegno di Francis Bacon, ci sono alcuni quadri di Dalì, e per l’Italia Ligabue e Schifano. C’è poi un’intera sezione dedicata a un artista padovano come Michele Sambin, noto come performer teatrale e videoartista, ma autore anche di importanti lavori pittorici.

Una sezione è dedicata agli artisti più giovani tra quelli che flirtano con la follia, a cominciare dalla scultura di Enrico Ferrarini che campeggia nel manifesto. E infine un’altra ospita il versante opposto, ovvero l’arte come terapia, documentando i laboratori artistici promossi dal Dipartimento di Salute mentale della Uls 16.

Nicolò Menniti-Ippolito

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