Tre musei unici a palazzo Cavalli Gratis nei weekend

C’è un giardino di pietra a dieci metri da auto, bus e tram. C’è anche uno zoo di pietra: il mondo com’era prima, molto prima della comparsa dell’uomo. Piante che hanno visto i dinosauri, e poi neppure loro, perché si sono estinti prima. Un pezzo di Cenozoico, 50 milioni di anni fa, è dentro un palazzo del Cinquecento, Palazzo Cavalli, alle Porte Contarine. Lì dentro, dal 2009, ci sono tre musei: di Geologia, di Paleontologia e di Mineralogia, tutti dell’Università. Splendidi nelle loro collezioni quanto riservati agli studenti e ai non moltissimi avventurosi che suonano il campanello.
La notizia è che le porte di questi musei si aprono per tutti, durante i weekend, dal 6 dicembre fino al 1° giugno (venerdì 15-18; sabato 10-18; domenica 10-13). Grazie al Comune, che ha assicurato il personale necessario: quattro persone sono state assunte per consentire l’apertura, e non a caso lo dicono all’unisono il rettore Giuseppe Zaccaria e il sindaco Ivo Rossi, reciprocamente contenti. Si dà lavoro dignitoso e stimolante, non assistenza, a persone lasciate a piedi dalla crisi e si apre un luogo che dovrebbe vivificare cultura ed economia.
Per ora l’ingresso è gratuito, siamo in fase di lancio, ma un domani questi musei dovrebbero diventare attrazione costante: «Questi gioielli li abbiamo solo noi, non c’è l’eguale in Europa, forse nel mondo», dice il rettore. Si riferisce soprattutto alla sala delle palme fossili, un luogo dalla suggestione potente. L’allestimento degli anni Trenta, restaurato, è rimasto intatto: grandi teche verticali, con una ratio espositiva di quegli anni che non inventa nulla perché non ce n’è bisogno. Il fascino di queste piante fermate nel tempo e nella pietra è una calamita: svettano tutte attorno al visitatore, quasi lo accerchiano, in una dinamicità plastica da toccare con mano, non ci fossero i vetri.
È un bosco dove manca solo il colore, non le dimensioni: molte di queste palme sono alte più di due metri, quella gigantesca che vi lascia senza fiato è un esemplare di Latanites maximiliani che raggiunge i 3 metri e 15. Vi sovrasta non tanto perché dovete alzare la testa, ma perché arriva da un tempo inconcepibile, che è difficile percepire come misura.
Aiuta sorridendo il professor Giuliano Bellieni, vicedirettore del Dipartimento di Geoscienze: «Ottanta euro sono tanti quanti gli anni di vita di un uomo. Pensate a 50 milioni di euro e capite la proporzione». Fuori le foglie cadono, qui dentro sono fissate nella pietra, con effetti fantastici. Arrivano quasi tutte dai giacimenti fossili di Bolca, nel Vicentino, uno di quei luoghi in cui le ère si sono fermate nella roccia. Un habitat marino e vegetale perfettamente conservato: oceano, barriera corallina e costa diventati colline, con i loro esseri viventi. Nella sala delle palme ci sono cinquemila reperti, teche a parte ogni mobile ha quaranta cassetti, potete vedere nelle bacheche per esempio un “ramo di licofita arborea con impronte di foglia” che sembra un merletto, o la decorazione finissima di un tessuto. Più in là, nelle scansie costruite da falegnami dell’Ottocento, file di pesci fossili, e crani e conchiglie. La conservatrice Maria Gabriella Fornasiero dice che finora ci son stati duemila visitatori l’anno, “i fedelissimi”, ma bisognava prenotarsi. Ora non più. Aperto a tutti, solo se si vuole la visita guidata la si prenota, e la si paga. L’idea è di assicurarne una ogni mezza giornata, le guide saranno della Cooperativa Nuovi Spazi.
Tutto questo è un inizio, solo un inizio. Per il Dipartimento di Geoscienze è stata costruita una nuova sede, Palazzo Cavalli si è liberato, ospiterà i musei rinnovati: con i finanziamenti di Arcus verrà costruita nel cortile una struttura che permetterà sicurezza, quindi si attendono tutti quei visitatori che ora devono essere in qualche modo limitati.
Non solo: è già finito il concorso per risistemare gli allestimenti, esiste un progetto preliminare, i 7.000 metri quadrati verranno rivoluzionati. Il rettore Zaccaria vede solo futuro: «Con questi interventi, così come con le nuove serre dell’Orto Botanico, impiantiamo cose durevoli, che coniugano cultura ed economia: sarebbe ora di capirlo». Sogna, il rettore, un asse un po’ strano, fatto di linee spezzate, per passare dagli Scrovegni ai musei di Palazzo Cavalli, al Santo, all’Orto Botanico, ma è un sogno contagioso per la Padova del domani. «Se fossimo a Parigi o Londra, ci sarebbero migliaia di visitatori per queste palme». E allora i progetti si allargano: sono già 11 i musei dell’Università, come ricorda Giovanni Busetto, direttore del Centro di Ateneo per i Musei, e aumenteranno: si faranno quello delle macchine di Bernardi, quello degli strumenti di fisica, aprirà nel 2014 quello di Storia della Medicina, joint venture con un privato.
Il professor Giulio Peruzzi, uno dei pistoni di questo motore complesso, ribalta la frase che increspò le labbra sottili del ministro Tremonti: «Con la cultura si mangia», dice il prof. E a Giuliano Bellieni si illuminano gli occhi quando dice che «per un ricercatore è una cosa fantastica arrivare al pubblico». Chiude Ivo Rossi, che corre per il posto di sindaco: «Stiamo correndo per voi».
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