Tutto il percorso di un artista nella “città irreale” di Merz

L’allestimento nei nuovi spazi delle Gallerie dell’Accademia a Venezia Da Fibonacci agli igloo il rapporto tra un uomo, la società e l’ambiente
Di Enrico Tantucci
Interpress/Mazzega Tantucci Venezia. 08.05.2015.- Mostra Mario Merz "Città Irreale" alle Gallerie dell'Accademia
Interpress/Mazzega Tantucci Venezia. 08.05.2015.- Mostra Mario Merz "Città Irreale" alle Gallerie dell'Accademia

di Enrico Tantucci

L’uomo, l’ambiente, la società.

Sono questi i temi intorno a cui ruota il lavoro importante di quello che è stato uno “sciamano” dell’Arte Povera come Mario Merz, a cui è dedicata a Venezia in questo periodo una bella mostra retrospettiva aperta nei nuovi spazi delle Gallerie dell’Accademia nei giorni della vernice della Biennale Arti Visive, ma che sarà sicuramente prorogata oltre il termine del 20 settembre fissato per la sua conclusione.

“Città irreale” - questo il titolo della mostra - rende omaggio a Merz a oltre dieci anni dalla sua scomparsa, definendo con chiarezza l’identità di questo artista «solitario, nomade e visionario», come lo aveva definito Harald Szeemann.

Lo spazio delle Gallerie - nella mostra curata da Bartolomeo Pietromarchi in collaborazione con la Fondazione Merz - si apre appunto con l’opera del 1968, dove Merz fonde metallo, cera e neon, che dà il titolo a tutta l’esposizione e ci accompagna anche attraverso la spirale delle sue installazioni, che da conchiglia e chiocciola, si fanno infine igloo - la “cifra” stilistica dell’opera dell’artista, fondendo appunto l’attenzione all’ambiente con l’idea architettonica di un modo di abitare “sostenibile” .

I saloni affacciati sul cortile palladiano brillano di storiche opere al neon con opere storiche come Sitin (1968) e Impermeabile (1966). Mentre le famose serie numeriche di Fibonacci - una sequenza matematica in cui ogni numero è dato dalla somma dei due precedenti e nelle quali l’artista riconosce un sistema capace di rappresentare i processi di crescita del mondo organico - sono collocate sulle pareti bianche e ancora vuote della nuova ala delle Gallerie.

La mostra veneziana, pur nella sua essenzialità, ricostruisce tutto il percorso artistico di Mario Merz. Fin dai primi disegni su carta degli anni Quaranta e Cinquanta, quando Merz, giovanissimo militante nel gruppo antifascista Libertà e Giustizia venne rinchiuso nelle carceri Nuove di Torino, e cominciò a disegnare, sperimentando un tratto grafico continuo, ottenuto senza mai staccare la punta della matita dal foglio, ipotizzando già allora l’dea di un’arte nuova che esprimesse, come farà la sua spirale, l’essenza fisiologica della vita.

Per proseguire con la svolta degli anni Sessanta, quando in controtendenza rispetto ai miti consumistici della Pop Art americana l’artista milanese inaugura la svolta “poverista”, con installazioni e sculture con materiali come legno, vetro, carta, tela, ferro, cera.

Se il dinamismo dell’accelerazione cosmica si conferma nella serie tridimensionale dei “tavoli”, tipica degli anni Settanta, gli anni Ottanta e Novanta appaiono scanditi dagli animali “preistorici”, creature primordiali come coccodrilli, iguane, rinoceronti, leoni di montagna, immortalate in una pittura sempre più grondante di biologica ferocia, di matrice espressionista e barocca, invasa da scritte al neon o da altre presenza luminose.

La mostra veneziana compendia questo complesso percorso artistico - ad esempio con opere come “Senza titolo (Una somma reale è una somma di gente)” in cui si manifesta appunto il motivo del tavolo - ma insiste in particolare sul tema dell’igloo, soprattutto nella parte finale: da quelli in panini di stoffa e neon, a quelli in pietra, struttura metallica e ancora neon.

Forma reale e simbolica, l’igloo rappresenta nello spazio tridimensionale il dinamismo della spirale, segno del movimento cosmico che comanda l’iconografia dell’artista.

E la mostra delle Gallerie dell’Accademia ne conferma l’attualità e la forza, ancora intatte, in un ambiente quasi metafisico per l’assenza di opere (il nuovo museo deve essere ancora allestito) - in cui quelle di Merz “galleggiano”, padrone degli spazi.

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