Ugo Rossi: "Al referendum veneto voterei sì"

PADOVA. «Ben venga il referendum veneto per un’autonomia potenziata. Il Trentino non ha nulla da perderci, anzi: questa è una partita win-win, in cui possiamo vincere tutti». Di qui a dire che Ugo Rossi, presidente della Provincia autonoma di Trento, faccia il “tifo” per una larga affermazione di sì, ce ne passa: «Non sarebbe istituzionalmente corretto. Diciamo che, se vivessi in Veneto, non esiterei a votare sì». Del resto, Ugo Rossi è anche leader del Patt, Partito trentino autonomista tirolese. Insomma, uno che l’autonomismo ce l’ha nel dna: «È solo un bene che si riapra il dibattito sui temi dell’autogoverno dei territori e di un regionalismo intelligente».
Secondo lei, lo Stato italiano potrebbe permettersi il lusso di due regioni autonome come il Veneto e la Lombardia?
«Io credo proprio di sì. A condizione che ci si chiarisca sui termini: non è che i veneti non manderanno più soldi a Roma (come invece qualcuno sta dicendo in questa campagna referendaria), ma potranno gestire in proprio competenze come la scuola, l’ambiente, i beni culturali, la formazione professionale, gli incentivi per le imprese, erogando servizi di maggiore qualità e spendendo di meno di quanto oggi non faccia già lo Stato. Con noi in Trentino è successo. Sulle strade abbiamo fatto risparmiare qualche decimale di punto di spesa pubblica, ottenendo un servizio migliore».

A volte Zaia si spinge a rivendicare i nove-decimi di trattenute fiscali, come avviene per Trento e Bolzano.
«Questo non è possibile. Il sistema dei nove-decimi (a parte che oggi sono diventati sette decimi e mezzo) si fonda su profonde ragioni storiche e costituzionali che non sono al momento concepibili per altre regioni».
Questo però viene considerato da molti non-trentini un privilegio anacronistico.
«Nessun privilegio, questa sì che è una bufala. A meno che non si giudichi un privilegio quello che i nostri nonni rivendicarono dopo la guerra, per poter continuare a godere di quell’autonomia che Trentino e Alto Adige ebbero anche sotto l’Austria. Mi pare che non ci fu alcuna altra regione, allora, a rivendicarlo. E poi sia chiara una cosa: non riceviamo alcun trasferimento dallo Stato, utilizziamo solo le nostre risorse».

Non la pensa così Enrico Mentana, che di recente ha sollevato una polemica a Trento, chiedendo di sopprimere le Speciali.
«Io faccio il ragionamento opposto: non togliamo alle speciali, diamo di più alle ordinarie. La critica che faccio a Zaia e Maroni è di non aver ancorsa esplicitato quali sono le competenze in più che si candidano a gestire. E aggiungo che Veneto e Lombardia si muovono con ritardo: l’articolo 116, terzo comma era lì da 16 anni».
Veramente loro dicono di averci provato, ma che fu Roma a chiudere.
«Lo chiese Formigoni, con un governo amico a Roma che rispose picche. Ecco, ricordiamoci che ci sono stati governi a parole federalisti che nulla hanno fatto per centrare questo obiettivo».
Come mai diceva che i nove-decimi si sono ridotti a sette decimi e mezzo?
«Perché contribuiamo con un miliardo e 300 milioni per ridurre il debito pubblico».
Ci può fornire qualche esempio concreto di come esercitate in proprio alcune competenze speciali?
«Mobilità: abbiamo ottenuto una legge che ci consente di stornare gli utili dell’Autobrennero per la costruzione del nuovo traforo di base del Brennero e dei bypass ferroviari di Trento e Bolzano. O sulla scuola, dove abbiamo potuto investire risorse nella formazione di insegnanti e studenti nelle lingue stranieri, anche veicolari, intervenendo sui programmi».
Perché avete sempre osteggiato le rivendicazioni di alcuni comuni confinanti di passare in Trentino-Alto Adige?
«Perché la Specialità si fonda sul connubio di popolo e territorio, quindi in un contesto geografico ben delimitato. Siamo quindi aperti solo verso quei Comuni veneti o lombardi che storicamente appartennero all’impero austroungarico».
Ad esempio?
«Cortina e Livinallongo, per restare in Veneto, dove vivono popolazioni ladine».
Che tipo di rapporto ha con i colleghi Zaia e Maroni?
«Collaborativo nella Macroregione alpina e in Conferenza Stato-Regioni, dove fummo io e Kompatscher a mettere in guardia dal tentativo iniziale del governo di eliminare l’articolo 116 terzo comma. Siamo invece su posizioni distanti su tanti temi politici, a partire dall’immigrazione. E anche per questo non vorremmo mai che, dietro i referendum del 22 ottobre, ci fossero solo ragioni speculative di tipo partitico».
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