Umberto Curi e la filosofia che pensa la fine

«Non c’è solo l’alternativa fra annientamento e passaggio per accedere a una nuova vita»
PD 14/04/2000 G.M.. UMBERTO CURRI NUOVO EDITORIALISTA DE "IL MATTINO" (FRANCICA)
PD 14/04/2000 G.M.. UMBERTO CURRI NUOVO EDITORIALISTA DE "IL MATTINO" (FRANCICA)

di ERNESTO MILANESI

La filosofia come «terapia» di fronte all’inguaribile patologia della vita. Il pensiero che interroga tutti, sulla soglia del tempo che si consuma. A 70 anni, Umberto Curi ha appena lasciato la cattedra del Liviano e pubblicato un altro saggio che torna ad esplorare «nodi» fra i miti classici e letteratura dell’altro secolo. Ragiona così a voce alta: «E’ in Platone (e non prima, come troppo spesso si ripete abusivamente) che troviamo la prima definizione tecnica di filosofia. Ed è molto significativo che una delle definizioni fornite dall’Ateniese faccia consistere la filosofia nell’esercitarsi a morire. Da quel momento, il tema della morte sarà al centro della tradizione filosofica occidentale, fino al suo culmine nel pensiero di Martin Heidegger. All’interrogativo che viene sinteticamente formulato nell’epistola di Seneca a Lucilio (Quid est mors?),nel corso dei secoli la filosofia ha sostanzialmente risposto indicando due strade. Quella per cui la morte è finis, la fine di tutto, l’annientamento.E quella secondo cui è invece transitus,“passaggio”, accesso ad una nuova vita. Nel libro cerco di mostrare come la morte sia irriducibile ad un’alternativa rigida».

Quali sono, allora, gli appigli per l'umanità che oscilla fra l'essere e il nulla?

«Spesso siamo portati a dimenticare che la morte non è l’opposto della vita, ma ne è invece un aspetto, anzi è l’aspetto più caratterizzante della condizione umana, del fatto che ciascuno di noi è appunto un “mortale”. Il termine correlativo alla morte non è vita, ma nascita: l’una e l’altra, nascita e morte, rappresentano gli “estremi” del percorso che è appunto la vita. Semmai il problema è quello che riguarda la possibilità di “pensare” questi estremi. Di qui, un paradosso: da un lato la morte è ciò che conferisce alla vita il suo più specifico significato; dall’altro non vi sono “parole” che possano adeguatamente “dire” che cosa sia la morte».

Dove si approda nel limbo di un orizzonte in cui nessun dio ci può più salvare?

«Sono in radicale disaccordo rispetto alle troppo facili liquidazioni delle istanze della fede che sono oggi in circolazione. Sono testimonianza di scarsa serietà e di mancanza di rigore nell’argomentazione».

Dal cinema alla mitologia, dalle figure-chiave alla poesia, dalla guerra allo straniero. Cosa tiene insieme la sua linea di ricerca scattata fin dagli anni 90?

«Rispondo con una sola parola, che potrà sembrare banale nella sua semplicità, ma che è anche la più genuina. A tenere insieme la ricerca che vado conducendo da circa vent’anni è la filosofia, assunta nel suo significato più intenso, come interrogazione sul proprium della condizione umana. Sto cercando di perseguire, con i mezzi limitati di cui dispongo, un obbiettivo che potrà sembrare ambizioso e che tuttavia a me sembra fondamentale: riportare la filosofia ad essere ciò che è stata alle sue origini. E cioè non un sapere tecnicizzato, ridotto a formule, totalmente autoreferenziale, sigillato nel proprio ermetismo, adatto soltanto ad un numero ristretto di presunti specialisti, ma piuttosto una ricerca che affondi nelle grandi questioni che ciascuno ha posto a se stesso».

Perché sta tornando "di moda" la filosofia? Ci sono la consulenza da tranier, la filosofia creativa, il social network e perfino un twitter del pensiero...

«Non è affatto sorprendente la forte e ormai duratura ripresa di interesse per la filosofia. I progressi delle conoscenze scientifiche, i nuovi orizzonti dischiusi dal prodigioso sviluppo delle tecnologie, non soltanto non cancellano l’esigenza di un approccio filosofico, ma lo rendono ancor più necessario. Per cercare di “dare un senso” a questo stesso progresso tecnico-scientifico. Per ritrovare un equilibrio altrimenti messo a dura prova dalla stessa velocità dei cambiamenti in atto. E poi non va dimenticato un altro aspetto. La filosofia nella sua forma più autentica è perfettamente “inutile”, non “serve a nulla”. Ma proprio in ciò sta la sua forza. Non solo perché – appunto – non è “serva”. Ma perché in un mondo che pullula di cose “utili”, che si annullano nel consumo, è fondamentale riferirsi a ciò che tende almeno a resistere alla dimensione della mera utilità».

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