Un eroe tra spezzoni di cinema è la memoria all’americana

Louis “Louie” Zamperini è l’eroe americano per definizione. Figlio di immigrati italiani, il giovanotto (Jack O’Connell) dall’indole un po’ ribelle, si scopre talentuoso nello sport, arrivando a correre i 5000 metri alle Olimpiadi di Berlino del 1936, impressionando persino Hitler grazie a un ultimo giro da record. Bombardiere nella Seconda Guerra Mondiale, viene dato per disperso dopo l’abbattimento del suo aereo dal fuoco nemico. Naufrago alla deriva insieme ad altri due membri dell’equipaggio, resiste 47 giorni alla sete, alla fame, al sole, alle tempeste e agli squali del Pacifico prima di essere catturato dai giapponesi e internato in un campo di prigionia. Sopravvissuto anche alle torture di un caporale aguzzino, Zamperini, finita la guerra, troverà nella religione la salvezza dai traumi subiti e tornerà a Tokyo da tedoforo in occasione delle Olimpiadi del 1988, prima di morire all’età di 97 anni. Una vita che è già una sceneggiatura. E infatti non poteva mancare un film dedicato alle sue gesta che Angelina Jolie porta sullo schermo in “Unbroken”, tratto dal libro di Laura Hillenbrand “Sono ancora un uomo. Una storia epica di resistenza e coraggio”.
Alla sua seconda esperienza dietro la mdp, dopo l’esordio nel 2011 con un film dedicato a un altro conflitto, quello dei Balcani, Angelina Jolie sceglie di dirigere una pellicola tutta al maschile (eccezion fatta per l’omaggio alla mamma del protagonista e ai suoi gnocchi): un “giorno della memoria” a stelle e strisce per ricordare il dramma di un uomo, atleta e soldato, a largo delle Isole Marshall.
Nelle mani di Jolie - schiacciata dal peso di un personaggio tutto d’un pezzo che non offre mai il fianco a lati oscuri o ambigui - la storia di Zamperini diventa l’occasione per attraversare nel modo più convenzionale e patinato possibile un po’ di storia del cinema. Si passa da un incipit vagamente leoniano alla “C’era una volta in America” ai “momenti di gloria” olimpici, per planare decisamente sul filone bellico in stile Lean-Wyler, preceduto da momenti di sopravvivenza dal sapore più moderno (“Castaway”, “All is lost”). Nel calderone di immagini tenute insieme dall’eco di una frase simbolo che ritorna - “if you can take it, you can make it” (se ci credi, ce la puoi fare) - l’unico momento davvero inteso, benché solo sfiorato, è il duello, ad armi impari, tra il caporale giapponese e Loiue, nel quale Angelina Jolie sembra individuare la chiave per riflettere sulla follia della guerra in cui il destino degli uomini - uguali ma divisi da una bandiera - è quello di lottare gli contro gli altri in nome della patria.
Durata: 137’. Voto: **
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