Un ragazzo, i suoi versi e la sua musica È il talento l’eredità di “Abe” Feltrin

TREVISO. Abe aveva urgenza. Urgenza di raccontare la sua ribellione al sistema, di mettere in versi le proprie tensioni esistenziali, di descrivere con la musica e con la fotografia come i suoi occhi...

TREVISO. Abe aveva urgenza. Urgenza di raccontare la sua ribellione al sistema, di mettere in versi le proprie tensioni esistenziali, di descrivere con la musica e con la fotografia come i suoi occhi guardavano a quei contenitori grigi e vuoti che sono le città. In primo luogo l’amataodiata Treviso, dove era nato.

E proprio questa fretta è il tratto distintivo dell’immensa produzione artistica di Alberto “Dubito” Feltrin, poeta, musicista, fotografo e street artist scomparso lo scorso aprile a soli 21 anni. Parte della sua produzione è contenuta nel libro “Erravamo giovani stranieri”, realizzato grazie al lavoro meticoloso dello staff della casa editrice milanese “Agenzia X”, con cui Alberto collaborava. Lavoro a dir poco complesso. E non solo per l’emozione di rileggere e analizzare i testi scritti da un amico che non c’è più, ma anche per la mole immensa di materiale lasciato da Alberto a testimonianza della sua vivacità di pensiero e di produzione.

Il volume presenta una selezione di testi di poesie, di prose e di canzoni che Abe, così lo chiamavano gli amici, aveva scritto in pochissimi anni e con un ritmo incredibile. «Si è voluto realizzare questo volume e si è voluto farlo subito anche per cogliere il momento in cui il dolore ci mantiene ancora tutti uniti, prima che la diaspora dei cammini divergenti riprenda il suo corso», scrive nella commovente prefazione lo staff della casa editrice, «Dato che Alberto aveva “militato” nei ranghi dell’Agenzia X in tempi ancora molto recenti, la scelta di pubblicare questo volume nel nostro catalogo è stata immediata. Alberto era un amico, un compagno, un fratello. “Erravamo giovani stranieri” viene offerto alla valutazione del pubblico come gesto di condivisione dell’arte, dell’affetto, della memoria».

Parole che accompagnano immediatamente il lettore nel mondo di Alberto. Ci sono le foto, alcune scattate da lui, altre che lo ritraggono. Ci sono le poesie, scritte fra il 2007 e il 2012, in parte nella sua casa a San Pelaio a Treviso, in parte a Londra, Roma e Milano. Fra le pagine emergono i versi di “Respiro”, poesia che Abe aveva composto per una competizione di Poetry Slam, da declamare, se così si può dire, in quattro respiri: ogni strofa, infatti, va recitata trattenendo il fiato. Ci sono le prose e ci sono i testi delle canzoni dei “Disturbati dalla CUiete”, il gruppo di cui Abe è stato paroliere.

«Sai, devo scrivere il mio tempo prima che lui scriva me, come dare forma al mio secolo prima di adagiarmi inconsciamente sulla sua/devo scriverlo perché quello che non scrivo mi limita fino a quando non diventa limite di carta e se non mi limito è perché correndo fra le città teatro io brucio dentro, mentre fuori nevica e non rifiuto il futuro, sai, non conviene. Ma preferisco bruciare bene e bruciare in fretta, quindi mon frère, seguimi per mille miglia e dammi retta, ti prego dammi retta…», scriveva e cantava Abe nel 2010, nella canzone “Non c’è più tempo”.

A metà novembre, uscirà un disco postumo. Il titolo: “La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arrugginite)”. I testi di questo album, scritti da Abe, sono riportati nel volume, insieme ai contributi non critici, ma amichevoli, dell’amico e maestro Lello Voce, dello scrittore underground Marco Philopat, di Andrea Scarabelli, editor di “Agenzia X”.

Quel che resta, ed è molto, di un’esistenza bruciata troppo in fretta, di una sensibilità certamente troppo esposta rispetto a tempi che sembrano non voler lasciare spazio a chi espone la propria pelle al vento della vita, e accetta il rischio di esserne portato via.

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