Un tempio romano nel cortile dell'istituto Marconi

Dall'erba emerge il perimetro di uno dei più grandi e importanti santuari dell'epoca
Le mura romane emerse più di dieci anni fa
Le mura romane emerse più di dieci anni fa

 PADOVA. Un tempio romano, un grande santuario con tanto di cella elevata e scalinata, di pronao e relative colonne e di un piazzale con portici che si estendeva per una lunghezza di 40 metri.

Sono i resti archeologici più visibili e più sconosciuti di Padova: se ne stanno sotto gli occhi di tutti ma, in mancanza di uno straccio di indicazione, un cartello con una descrizione, una spiegazione, un cenno di storia, è difficile per occhi non esperti dare un senso a quei muretti che affiorano dal terreno a comporre un rettangolo di 24 per 12 metri. Tale perimetro si trova al piedi del declivio erboso in via Manzoni interno all’istituto Marconi, declivio che dal marciapiede arriva al grande piazzale usato come parcheggio.

Era l’estate del 2005 quando si rese necessario aprire un cantiere in quell’area per realizzare una vasca anti-incendio, adempimento obbligatorio per la scuola. Fu interpellata la Soprintendenza, come per ogni scavo in zone centrali della città. E il sottosuolo svelò un sorprendente angolo della Patavium romana di cui peraltro la Soprintendenza aveva già eco. «Le prime indagini furono svolte nel 1981 e 1991» spiega l’archeologo Alberto Vigoni, 50 anni, libero professionista, autore di svariate pubblicazioni e consulente per la Soprintendenza, che seguì gli scavi.

«Avevamo trovato banchi di anfore rotte che sappiamo servivano per il drenaggio nelle fondamenta degli edifici romani. Poi il cantiere si è fermato: allora non avevamo trovato muri. Nell’estate del 2005 con lo scavo per la vasca anti-incendio abbiamo scoperto un muro, larghezza 90 centimetri, dunque consistente, e tutto intorno pezzi di anfore. Ci siamo messi in allarme».

A quel punto Vigoni chiese alla Sovrintendenza di allargare lo scavo e il risultato fu eclatante. «Sono saltati fuori la cella, la scalinata e l’ingresso del tempio» spiega Vigoni «Un tempio sopraelevato, su un podio, affacciato verso via Manzoni, dotato di un piazzale molto ampio circondato da un porticus che si trova sotto via Leopardi. Un santuario ben strutturato, collocato nel suburbio sud-orientale della città romana, vicino a una delle più rilevanti e ricche necropoli, quella meridionale, nei pressi dell’attuale basilica di Santa Giustina. E vicino anche al teatro Zairo sepolto sotto il Prato».

Il santuario è di età Augustea, prima metà del I secolo a.C.: non è dunque da escludere che Tito Livio lo frequentasse. Chissà, magari aveva l’abitudine di fare un salto al tempio prima di andare a teatro a vedere una delle commedie di Plauto o Terenzio che tenevano banco nei cartelloni dell’epoca. «Il tempio era costruito in marmo, abbiamo trovato tracce di apparato decorativo del tetto, era un edificio importante. Sul quale però non abbiamo mai trovato fonti o testimonianze scritte. Non sappiamo quindi a quale divinità fosse dedicato», spiega ancora Vigoni.

Lo scavo fu ricoperto, la vasca anti-incendio costruita più in là. La scoperta archeologica era fatta e finita, si trattava di valorizzarla. E così è stato, con apposito progetto. Il grande perimetro del santuario è (o meglio era, ché ora senza manutenzione si sta reinterrando) ben visibile, ed è stato appositamente deviato il marciapiede di via Manzoni, nel punto in cui si affaccia sui resti del tempio: un angolo acuto con una ringhiera e due panchine, una piccola terrazza di osservazione, con tanto di albero.

La scuola si occupò di costruire una passerella in legno, nel declivio erboso, per vedere da vicino il perimetro romano. Ora è chiusa, qualche asse si è staccata ed è pericolosa. «All’epoca la Provincia era disponibile a valorizzare quel sito, ma poi non se ne è fatto più nulla» continua Vigoni; «Basterebbe almeno mettere un cartello di spiegazione nella nicchia sul marciapiede e uno interna, noi da tanto lo diciamo».

Nel frattempo si può solo entrare nel cortile del Marconi per vedere da vicino il muretto o sostare sull’affaccio dalla strada, e in entrambi i casi lavorare di archeologica fantasia.

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