Un tesoro di affreschi da restaurare Il Comune deve trovare tre milioni

Tra rovine, sporcizia e ragnatele, è difficile immaginarsi i banchetti di nobildonne, armigeri e servitori. Eppure il Castello dei Carraresi non fu solo una struttura militare e di difesa, ma una vera e propria corte di stampo (pre)rinascimentale. Va immaginato così, alla fine del Trecento, nel momento di maggior gloria dei Carraresi, quando alla tavola di Francesco il Vecchio e della moglie Fina Buzzaccarini sedevano artisti come Guariento e Giusto De’ Menabuoi, e poeti come Francesco Petrarca, e alla loro corte veniva in visita il re d'Ungheria con un seguito di 400 persone.
Cos’è rimasto a memoria di questo secolo d’oro, emblema dell’identità padovana prima del “giogo” veneziano? Poco, pochissimo nella Reggia carrarese (dietro il Liviano), molto di più negli affreschi scoperti una decina di anni fa al Castello, ma ancora (troppo) sconosciuti ai padovani. Affreschi che, come ha raccomandato Anna Maria Spiazzi (l’archeologa che con Edi Pezzetta ha curato il recupero) «si potranno riconsegnare alla città e la cui destinazione d’uso dovrà rispettare, o meglio esaltare, l’unicità di apparati decorativi oramai perduti nella Reggia Carrarese e conservati, almeno in parte, nel Castello».
restauro dell’ala nord
È per questo che il progetto di riqualificazione del Castello ha cambiato prospettiva negli ultimi mesi. Mentre a giorni inizieranno i lavori per il restauro dell’ala sud (dove troverà spazio il museo del design con la collezione Bortolussi), ci si interroga su come utilizzare gli ambienti dell’ala nord.
In un primo momento erano previsti spazi commerciali e di ristorazione, almeno al piano terra. Ma il ritrovamento alle pareti di decorazioni con stemmi (quello ricorrente è ovviamente di Francesco il Vecchio) e partiture geometriche con stelle ad otto punte, ha portato a un ripensamento. «È probabile che ricaveremo in quegli spazi un percorso multimediale che racconti l’epopea carrarese, un’identità che va pienamente recuperata tra i padovani», anticipa l’assessore alla cultura Andrea Colasio. Servono almeno 5 milioni per questo secondo stralcio di riqualificazione del Castello. Due li ha messi l’allora ministro dei beni culturali Dario Franceschini, e sono “in cassaforte”. Ma gli altri vanno trovati.
Cella ’ndranghetista
Fino a prima del 1991, anno del trasloco del carcere, al primo piano nella cella numero 77 ci stavano gli esponenti del clan della ’Ndrangheta. Era un camerone da 20 detenuti, in un angolo c’è ancora la piastrellatura di una doccia. Alle pareti non è difficile immaginare il poster di una coniglietta di Playboy, unica compagnia femminile per i detenuti.
Non potevano sapere che al di sotto dell’intonaco c’erano ben altri ritratti muliebri, di tutt’altra eleganza. In quella sala sono affiorati affreschi, che erano stati coperti dallo “scialbo” veneziano, che qualificano l’ambiente come sede diplomatica. Era il luogo in cui accogliere le autorità di altri Paesi.
C’è una elegante decorazione con teste femminili, ci sono i ritratti del Petrarca e di Francesco Novello. Ma soprattutto c’è il ritratto di Luigi d’Ungheria, dalla cui corona spuntano i colli di tre struzzi, simbolo d’equilibrio. Un omaggio all’alleato, nemico dei veneziani e protettore contro l’esercito milanese dei Visconti.
La sala del Carro
Uno degli ambienti più straordinari da recuperare al Castello è la grande sala del velario, con la volta a botte affrescata con il carro simbolo dei signori di Padova. Gli studiosi pensano che risalga all’età di Francesco da Carrara, quindi prima del 1388. Presenta un sistema decorativo con elementi simili a quelli dipinti dal Guariento nella cappella della Reggia Carrarese, a partire dalla cornice con la decorazione floreale. E nella parete ovest il grande cimiero scelto da Ubertino I: è una testa di moro con le corna dorate e il corpo bardato di rosso e oro. Un tesoro nascosto della storia cittadina, che pochissimi padovani conoscono. —
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