Una cicogna fotografa l’Italia

Silvio Soldini prova a volare. Sulle ali di una cicogna osserva le miserie del nostro Paese, scegliendo la commedia corale, surreale e un po’ bislacca per raccontare un’Italia troppo terrena, che stenta, - nonostante gli sforzi di qualche isolato epigono - a uscire dal fango, dove c’è chi sguazza e chi cammina in punta di piedi per sporcarsi un po’ di meno. Il suo nuovo film, “Il comandante e la cicogna”, scritto insieme al padovano Marco Pettenello, vola però un po’ troppo basso, finendo per appiattirsi sulla realtà che racconta; peggio, osservandola con il moralismo di chi è seduto sul seggio più alto e crede, essendo migliore degli altri, di poter dispensare liberamente indignazione ed empatia, veleno e poesia. Quasi un paradosso per il regista milanese.
I suoi ultimi film - “Giorni e nuvole” e “Cosa voglio di più” - pur essendo emotivamente più “zavorrati”, si libravano sopra le nostre teste, decollando da storie di ordinaria infelicità, con un respiro a pieni polmoni e un rigore morale mai posticcio. Ne “Il comandante e la cicogna” si torna alle atmosfere apparentemente più leggere di “Pane e tulipani” e di “Agata e la tempesta”, attraversate da un surrealismo sincero che qui, invece, scolora in una favola dal retrogusto amaro, un po’ saccente. Come le statue parlanti di Garibaldi, Verdi, Leopardi e Da Vinci che commentano con rammarico il degrado e la corruzione in cui versa la società contemporanea, non disdegnando, però di attaccar briga con la statua di un certo Cavalier - non a caso – Cazzaniga, simbolo del protoleghismo berlusconiano, incarnazione del disagio presente.
«E pur si muove», avrebbe tuonato Galileo, concentrando la sua attenzione sui protagonisti del film, perdenti ed emarginati, e, proprio per questo, forse gli unici capaci di sollevarsi da terra per ristabilire, in una neo rivoluzione copernicana, l’ordine delle cose, con i valori al centro del mondo e l’uomo a gravitarvi attorno. Nella Torino anonima di Soldini c’è un padre premuroso (Mastandrea) alle prese con i problemi dei figli adolescenti e con una moglie defunta (Gerini) che gli appare in bikini e con la quale intrattiene dialoghi immaginari. C’è un’artista squattrinata (Rohrwacher) che non riesce a pagare l’affitto al suo padrone di casa Amanzio (Battiston), un triestino che da dieci anni fa il moralizzatore urbano, con il vizio dell’esproprio proletario e della merce scaduta. E l’altra faccia della medaglia: un avvocato maneggione (Zingaretti) e la sua premurosa segretaria. Il coro di attori fa la sua (bella) parte, ma rimane al servizio di un film che, in un batter d’ali, precipita nella solita commedia agrodolce. Il comandante Soldini per diventare generale dovrà osare qualcosa di più: non basta una cicogna un po’ appesantita per bacchettare la nostra miseria.
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