Uno show popolare dove si fondono passato e futuro

Nunzio Filogamo (foto) oggi avrebbe 110 anni. Presentò il primo festival alla radio del 1951 e poi altri tre. Poi fu estromesso, forse perché gay, fino al 1957 quando guidò il primo e ultimo suo festival in televisione, infierendo sulle papere della bellissima Marisa Allasio. Fatti remotissimi, eppure ancora ricordati. Così come il suicidio di Luigi Tenco – è di dieci anni dopo, ma 46 anni fa – eppure chi non lo ricorda? “L’italiano” cantato da Toto Cutugno – ormai una specie di inno nazionale apocrifo – è di Sanremo 1983, cioè 30 anni fa tondi tondi. Ebbene, con una frase a effetto si potrebbe dire che a Sanremo non esistono né passato né futuro ma un solo, ormai lunghissimo, presente: è quello dell’Italia di sempre. Quella vera, con pregi e difetti, che vive, perché no?, anche di musica popolare ed è capace di mettere al servizio di questa forma d’arte talenti, risorse comunicative, mezzi tecnici e finanziari così grandi da avere un impatto mediatico vasto, ben oltre i confini nazionali (è trasmesso tuttora in Eurovisione). Si tratta di un presente molto lungo che ha accompagnato, non a caso, la crescita del Paese da nazione, arretrata e sconfitta, a potenza, ancora oggi, tra le prime dieci del Globo. Nessuno si meravigliò quando nell’edizione 1999 Renato Dulbecco, premio Nobel per la Medicina 1975, presentò il festival al fianco di Fabio Fazio e Laetitia Casta: moltissimi seppero chi era solo allora. (l.f.)
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