Vaca Mora dei pensieri il viaggio dei duecento

di Vera Mantengoli
VENEZIA
Tutto esaurito per «Un Treno per guardare lontano» carico di attori, poeti, musicisti e sognanti viaggiatori. L’evento, ideato dal visionario regista Giuliano Scabia e curato da Renzo Niero e da Cristina Palumbo dell’Associazione Echidna, comincia domenica pomeriggio alla Stazione Santa Lucia con un dono che fungerà da guida per i duecento viaggiatori diretti verso Campagnia Lupia, nel cuore dell’entroterra veneziano e padovano. Il treno, offerto dalle Ferrovie, è stato battezzato «La Vaca Mora», in ricordo della locomotiva che univa Rovigo a Venezia, descritta da Gian Antonio Cibotto nell’omonimo libro che sarà in parte letto lungo i cento chilometri di voci narranti. «Non so cosa succederà nel treno» racconta il regista, alle prese con gli ultimi preparativi «so solo che gli ospiti sono uno più matto dell’altro! Lo facciamo perché c’è bisogno di azioni amorose verso la società, sempre più arrabbiata come dimostra il recente fatto di cronaca a Roma in cui si è attaccata perfino l’ambulanza. C’è bisogno di guardarsi in faccia e di riconquistare quei valori che la frenetica speculazione, il profitto e la caccia al denaro stanno divorando. Una società civile è basata sul rispetto e sull’amore». Il regista prosegue così il percorso iniziato negli anni Settanta con «Il Gorilla Quadrumano» che lo vedeva recitare in tutto il territorio di Mira, entrando a contatto con le persone bussando alla porta delle loro case. L’esperienza di «incontrarsi», approfondita con il Teatro Vagante nella Biennale di Teatro del 1975, diretta da Luca Ronconi e Carlo Ripa di Meana, è diventata nel 2005 una mostra di foto dei lavori a Villa Widmann nella Riviera del Brenta, nel 2010 lo spettacolo «Viaggio di Nane Oca» sui binari di Camponogara e oggi l’evento artistico che accoglierà gli artisti fermandosi nelle stazioni di Mestre, Mira, Bojon, Piove di Sacco e Campagnia Lupia: «Abbiamo già vissuto due guerre» prosegue il regista che insieme a Basaglia diede vita al progetto di «Marco Cavallo» nell’ospedale psichiatrico di Trieste «non possiamo dimenticarcene. Per superare le difficoltà bisogna recuperare la capacità di guardare lontano e di rispettare le regole perché se non rispetti le regole non puoi andare in bicicletta e non si rifà l’Italia se i vigili non ti dicono che con il semaforo rosso non si passa». Il sentiero di acciaio dei binari, scandito dalla dolcezza della poesia, invita il viaggiatore a riflettere sul tempo e su come oggi lo utilizziamo: «Ogni epoca ha il suo viaggio. Prima si andava a piedi, poi el gà ciapà a carrossa» continua il regista, dimostrando di conoscere fino in fondo questo territorio, a partire dalla lingua «ma Goethe ha scritto il suo Viaggio in Italia perché andava piano e poteva vedere le cose da vicino. Il treno con i suoi grandi finestrini ci chiede simbolicamente di guardare fuori il paesaggio che c’è e quello che ci immaginiamo. Forse il lontano è qui, nella riflessione e nella meditazione quotidiana in mezzo a una società fatta di spot che produce compulsivamente e butta via tutto, incluse le perso. ne». La parola degli artisti invitati, dal racconto sulla transumanza di Roberta Biagiarelli a «La Žuta dunja» di Paolo Rumiz (tratto dal romanzo dello scrittore triestino Alfredo Lacosegliaz «La cotogna di Istambul», in programma anche questa sera a Spinea), diventano un’occasione unica per ascoltare e fare esperienza di un tempo diverso: «Oggi la poesi la si legge male perché siamo angosciati dall’ansia di prestazione. La poesia ha invece bisogno di tempo per essere assimilata e può essere spietatamente vera, come diceva Rimbaud. Spero che questo viaggio venga svelato insieme ai viaggiatori, parlando con loro. L’unica speranza per me è quella di parlare a tu per tu con le persone: ho lavorato per questa speranza tutta la vita».
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