Veneto Banca “condannata” a pagare

Il Giurì della Consob riconosce un risarcimento di 200 mila euro a Bruno Bandoli che comprò azioni dell’istituto



Aveva acquistato azioni da Veneto Banca in due tranche, investendo 187.932,50 euro pescati tra i propri risparmi. Azioni carta straccia, poi ridotte al valore di zero. Finito nell’esercito dei risparmiatori truffati dalle cosiddette Popolari venete, Bruno Bandoli - già dirigente dell’Università di Padova, una passato a Palazzo Moroni come capo di Gabinetto della giunta Destro e poi dirigente allo Iov - non si è dato per vinto. E ora ha ottenuto giustizia.



L’Acf (Arbitro per le controversie finanziarie) noto come il Giurì Consob - organismo istituito presso la Consob a disposizione degli investitori per risolvere controversie con gli intermediari (banche) senza rivolgersi in tribunale - ha accolto il ricorso presentato da Bandoli (tutelato dall’avvocato Matteo Moschini). E, censurando il comportamento di Veneto Banca, ha riconosciuto un risarcimento di 198.787,48 euro a Bandoli che, mai, si era rassegnato alla sconfitta. E che è sempre stato in prima fila nella mobilitazione dei risparmiatori truffati. Anche la moglie Grazia Barbieri ha ottenuto un provvedimento arbitrale che le riconosce 27 mila euro di risarcimento per aver subito analoghe violazioni.



«L’intermediario (Veneto Banca spa ora fallita) è tenuto a corrispondere al ricorrente un risarcimento danni di 198.787,48 euro, somma comprensiva di rivalutazione e interessi legali... Fissa il termine per l’esecuzione in 30 giorni» si legge nella pronuncia dell’Arbitro presieduto da Giampaolo Eduardo Barbuzzi. Bruno Bandoli, che aveva ricevuto pure rassicurazioni dall’ex amministratore delegato dell’istituto Vincenzo Consoli («La banca è solida e sana... Non c’è da preoccuparsi... Vedrà che ci faremo vivi»), è stato tra i pochi risparmiatori (appena 500) a rivolgersi all’Acf rispetto ai 200 mila truffati dalle Popolari. Una vittoria non solo sulla carta: lo Stato anticiperà il 30 per cento del ristoro come previsto dal decreto “Milleproroghe”; il resto dovrebbe provenire dal “fondo Baretta" (fondo di ristoro per le vittime di reati finanziari) ancora congelato. Fondo che potrebbe essere integrato dai fondi dormienti (conti e depositi mai toccati negli ultimi 20 anni).



Tra il 2011 e il 2014 Bandoli compra azioni di Veneto Banca (previa ammissione a socio al prezzo di 39 mila euro): ai risparmiatori viene dato a intendere che le azioni sono, di fatto, le quote di una società cooperativa (la Banca). Una sorta di grande cassa peota. «Solo dopo abbiamo saputo che si trattava di azioni illiquide», rammenta Bandoli. Impossibile vendere: il prezzo è uguale a zero. Nel ricorso Bandoli accusa Veneto Banca: violati tutti gli obblighi di informazione, come riconosciuto dal Giurì di Consob. Giurì che imputa alla banca trevigiana di non aver messo a disposizione del cliente un set informativo specifico come imposto nel 2009 da una nota di Consob. Anzi, si legge nella decisione dell’Arbitro «(Veneto Banca) ha reso un’informativa generica ... e un rinvio alle norme statutarie». Nel suo provvedimento il Giurì fa propri i rilievi di Bandoli «che contesta all’intermediario (l’istituto di credito) di avergli fornito informazioni false circa la sicurezza dell’investimento e la liquidabilità dei titoli...». False a tal punto da scoprire di aver sottoscritto un profilo con rischio medio mentre, come altri risparmiatori, aveva solo manifestato «una volontà di accantonamento del capitale».



«Sono contento ma non felice... In questi anni ho visto elusi i più elementari controlli da parte degli organismi di vigilanza. E così la gente non ha più fiducia nel sistema bancario», commenta Bandoli. Che, ora, guarda al futuro sempre agguerrito. «Serve attivare quanto prima la nuova commissione parlamentare d’inchiesta affinché proponga strumenti per ridare fiducia a risparmiatori e imprese ma anche inasprisca le pene in materia di reati finanziari», rileva. «Serve assicurare con i prossimi provvedimenti del Governo l’effettiva disponibilità dei fondi dormienti». Per quanto riguarda il fondo di ristoro per i truffati delle banche venete la dotazione finanziaria votata dal governo Gentiloni era di 100 milioni in quattro anni, «oggi il fondo è magicamente lievitato a un miliardo e mezzo senza disturbare la finanza nazionale ed europea». Non solo. A Treviso c’è l’inchiesta su Veneto Banca. «Ho trasmesso una querela alla procura trevigiana e istanza di costituzione di parte civile», precisa. «Mi resta il rammarico che finora le indagini siano orientate alla contestazione dei soli reati di ostacolo alla vigilanza e aggiotaggio piuttosto che al reato di associazione a delinquere». —

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova