Vescovo interpellato dalle Iene sul prete che conosce l’assassino

Correzzola, l’ex parroco non può rivelare il nome che ha appreso in confessionale. Accertamenti su uno psichiatra

CORREZZOLA. «Qualche giorno dopo il delitto il prete mi dice che sa chi ha ammazzato Willy, ma che non può dirmelo perché obbligato dal segreto della confessione». Lo dichiara nel 1996 il comandante dei carabinieri della stazione di Goro (Ferrara) in un verbale andato all’epoca “perduto”. Quel prete è don Tiziano Briscagin, parroco di Goro all’epoca del delitto Branchi (il 1988), ora in servizio come collaboratore pastorale a Villa del Bosco di Correzzola. È indagato nella nuova inchiesta aperta nella vicenda con l’accusa di false dichiarazioni e di calunnia, perché da trent’anni una cappa di impenetrabile omertà impedisce di far luce sul caso. 

L'INCHIESTA DE LE IENE

La vicenda è stata ricostruita in una lunga e accurata puntata monografica delle “Iene”, andata in onda lunedì sera su Italia 1. Fra le tante persone interpellate dall’inviato Antonino Monteleone, che per mesi l’ha curata, c’è anche il vescovo di Padova Claudio Cipolla, a cui è stato chiesto se è possibile dispensare l’ex parroco dall’obbligo di mantenere il segreto su quanto ha appreso nel segreto del confessionale. Don Cipolla, pur preso alla sprovvista, ha risposto cortesemente dimostrando di conoscere il caso e affermando di non essere stato interpellato né dalla magistratura ferrarese né dallo stesso sacerdote per un’eventuale dispensa. Ha però fatto chiaramente capire che di obbligo assoluto si tratta: il sacerdote che violi l’impegno a non rivelare quanto apprende nel segreto del confessionale si espone a sanzioni pesantissime, che possono arrivare alla scomunica.

LA VICENDA

Ciò nonostante, sempre secondo la ricostruzione del programma, il sacerdote avrebbe fornito all’epoca per interposta persona degli spunti agli investigatori. All’inizio però era stato trovato il colpevole “ideale” nella persona di Valeriano Forzati, un pericoloso pregiudicato della zona, amico di Felice Maniero, boss della Mafia del Brenta, e in seguito pluriomicida. Era stato l’ultima persona vista all’uscita da un locale insieme a Willy la notte in cui il ragazzo era poi stato ucciso con selvaggia brutalità. In seguito però era stato assolto dall’accusa. Il caso è tornato insoluto, riaperto di recente solo grazie alla determinazione del fratello della vittima e all’impegno del suo avvocato.

GLI SVILUPPI

Fra i più recenti sviluppi della vicenda, spunta il nome di un medico padovano, psichiatra, che dopo il delitto avrebbe accolto in cura in una clinica della città (Al Parco) proprio l’omicida, caduto in una depressione profonda. Il medico condotto del paese, che aveva constatato il decesso di Willy, era il padre di Pierluigi Bordoni, a sua volta sospettato di aver fornito false informazioni al pubblico ministero. Dopo la riapertura del caso Branchi, è venuto a galla “un giro di perversione sessuale”, come è stato definito dagli inquirenti, da cui il 18enne di animo buono, e probabilmente facile esca di soggetti senza scrupoli, avrebbe tentato di sottrarsi, minacciando di rivelare tutto. E questo gli sarebbe costato la vita.
 

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