Violenza, teoremi, garantismo Palombarini rivisita il 7 Aprile

Dopo la “versione” di Calogero, ecco quella di Palombarini. Da una parte il procuratore, il grande accusatore; dall’altra il giudice istruttore sospettato di eccesso di garantismo. Al centro il “7 aprile”, una data che Padova, ma non solo, identifica con il processo contro quel mosaico di movimenti e di persone riuniti sotto la sigla di “Autonomia”. La “versione” di Palombarini è racchiusa nel centinaio di pagine o poco più di “Il processo 7 aprile nei ricordi del giudice istruttore” in uscita per “Il Poligrafo”, nella collana dedicata all’ Ottocento e al Novecento padovani, a cura di Mario Isnenghi.
E già questo è importante, perché riconosce che quel processo ha segnato la città, l’ha divisa, è una tappa che non si può rimuovere. Palombarini lo sa bene, tanto che ha aspettato a lungo prima di ricostruire la vicenda dal suo punto di vista. Lo ha fatto usando le carte processuali, ma non solo. “Tutto – scrive Palombarini – cominciò sabato 7 aprile 1979. Alle 10 un aereo atterrò al Marco Polo di Tessera. Ne discesero una cinquantina di ufficiali della Digos (…) Neppure un’ora dopo la città era assediata da mezzi blindati”. Era l’inizio del blitz che doveva portare in carcere studenti, militanti e professori universitari, con la pesantissima accusa di costituire il braccio armato di un movimento che voleva sovvertire lo Stato democratico. Era il “teorema”. Palombarini ricorda come Pietro Calogero, intervistato da Panorama già nel 1978, manifestasse una forte convinzione sulla matrice comune della violenza politica: «I recenti fatti eversivi – diceva Calogero – dimostrano che le Brigate rosse non costituiscono (... ) un gruppo isolato e ristretto di persone dedite alla lotta clandestina e armata, ma fanno parte di un’organizzazione più ampia e complessa». Su questa convinzione venne costruito quel “teorema Calogero” sul quale per oltre dieci anni si sono accumulati giudizi contrastanti e che ancora oggi rimane oggetto di controversia, come del resto anche questo libro dimostra. Palombarini rende conto della pluralità di voci che si incrociarono in quegli anni, intervistando Severino Galante, Gianni Riccamboni, Giorgio Tosi nonché a Giovanni Valentini, che in quegli anni era il direttore del nostro giornale. Ed i giornali ebbero un ruolo non marginale in tutta la vicenda, fecero da cassa di risonanza alle diverse fasi processuali, che terminarono qualche anno dopo con un notevole ridimensionamento delle accuse. Ma proprio per questo Palombarini tiene molto anche ad un altro elemento. Molti nei processi furono i condannati. Ma molti furono anche gli assolti, dopo molti mesi o addirittura anni di carcere.
Questo, secondo Palombarini, mette in discussione il meccanismo della carcerazione preventiva, che fu largamente usata in quegli anni e rimane ancora oggi un punto interrogativo non eludibile per il funzionamento democratico del sistema giudiziario.
Nicolò Menniti-Ippolito
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