Nell’amore per la montagna le vite di grandi uomini

In “Portfolio alpino”, Mendicino racconta eventi significativi dell’esistenza di ventuno personaggi uniti da passioni ed etica. Tra loro Hemingway e Levi

Ci sono libri che ti inchiodano letteralmente alla poltrona, per quanto sono avvincenti. Con “Portfolio alpino”, del biografo di Mario Rigoni Stern Giuseppe Mendicino (ed. Priuli&Verlucca, 16,90 euro), succede esattamente il contrario: non perché il libro non catturi l’attenzione, tutt’altro, ma perché mentre lo leggi ti viene la voglia irresistibile di alzarti per consultare altri libri, citati dall’autore, di andare a prendere una cartina per localizzare i luoghi descritti, addirittura di metterti gli scarponi e andarli a vedere di persona. Siamo oltre il concetto di libro come “macchina per pensare”, teorizzato da Umberto Eco, siamo al libro che spinge a leggere altro, a camminare e ad agire.

Gli “orizzonti di vita, letteratura, arte e libertà”, promessi dal sottotitolo e illustrati dalla bella copertina di Nicola Magrin, sono quelli “esplorati” da ventun personaggi uniti dalla passione per la montagna, dall’amore per i libri e - in molti casi - da un forte impegno etico e civile. I più noti sono Ernest Hemigway, Dino Buzzati, Massimo Mila, Nuto Revelli, Primo Levi, Rolly Marchi, Mario Rigoni Stern e il più giovane di tutti, Paolo Cognetti. Gli altri sono soprattutto grandi nomi dell’alpinismo (Ettore Castiglioni, Amilcare Crétier, Toni Gobbi, Giovanni Cenacchi), ma anche artisti (Tino Aime, Adolf Valazza), combattenti partigiani (Dante Livio Bianco), militari (Giuseppe Lamberti), poeti e docenti (Sergio Arneodo), persino politici (Renato Chabod). Tre le donne, anch’esse dedite alla montagna, alla scrittura e alla testimonianza culturale e civile: Giovanna Zangrandi, Tina Merlin e Mirella Tenderini.

Non si tratta di una raccolta di biografie, perché l’attenzione dell’autore si posa con grande empatia su alcuni momenti significativi della vita di questi uomini, quando meglio si manifestano la loro irriducibile fedeltà ai principi di libertà e la loro caparbia coerenza con i propri valori, che in quasi tutti diventa lotta di resistenza, prima al nazi-fascismo, poi alle lusinghe malate della nostra epoca. Emerge chiaro da queste pagine, e specialmente dalle loro stesse testimonianze riproposte da Mendicino, come l’andare in montagna li abbia aiutati non solo a superare i pericoli, le fatiche e gli stenti della guerra e della prigionia, ma li abbia soprattutto attrezzati a guardare più lontano e con maggior chiarezza alle cose del mondo, oltre a offrire loro - nei ricordi delle scalate - sprazzi di felicità quando il dolore per le cose viste e subite sembrava sopraffarli: Rigoni Stern durante i venti mesi di prigionia pensava per consolarsi a una scalata alla Grivola (sul Gran Paradiso), Primo Levi chiamava quella sensazione che lo aiutava a vincere la tristezza “l’odore della pace raggiunta”, e Dino Buzzati - che sognava tutte le notti di “scalare pareti vertiginose e superare grandi abissi” - soltanto raggiungendo le vette delle sue Dolomiti riusciva a sciogliere in un sorriso l’inquietudine che l’accompagnò per tutta la vita.

Se indimenticabili sono i protagonisti - per la loro energia, la passione, il coraggio, il rigore morale, le loro doti letterarie che Mendicino fa emergere con grande perizia critica - altrettanto memorabili sono i luoghi che fanno da sfondo alle loro imprese alpinistiche, alle loro battaglie, ai loro incontri (documentati fin nel dettaglio), o semplicemente alle loro vite. Luoghi che l’autore conosce palmo a palmo proprio per aver seguito le orme dei suoi maestri. Accanto alle grandi vette delle Alpi Occidentali, alle loro maestose vallate e ai laghi nascosti (come il Misurin, dove Levi e Rigoni Stern volevano tornare insieme) riemergono dall’abbandono i villaggi tra Liguria e Piemonte dipinti da Tino Aime nei suoi quadri e raccontati da Nuto Revelli nel Mondo dei vinti, i paesaggi occitani di Sergio Arneodo, ma anche la vitalissima Cortina di Hemingway, con la mitica cucina di Rachele Padovan meta di tanti illustri letterati; e naturalmente le Dolomiti di Dino Buzzati e della bolognese Alma Bevilacqua, che per amor loro lasciò la sua terra e il suo nome per diventare la cadorina Giovanna Zangrandi.

Ma i Monti Pallidi sono anche lo sfondo negato degli ultimi dolorosissimi giorni in ospedale di Giovanni Cenacchi, altro bolognese-ampezzano, scalatore e documentarista, strappato appena 43enne ai libri e alle montagne da una malattia, nel 2006. Nell’intenso e lacerante “Cammino tra le ombre”, segnato dalla consapevolezza della fine imminente, ha la forza di scrivere «anche dal fondo dell’orrore, non posso non ammettere che il mondo sia uno spettacolo meraviglioso», e di trovare per sua figlia e per gli amici parole di conforto difficili da dimenticare: «Se una sola memoria, o coscienza mi resterà, sarà per te (…) Siate bravi, siate forti nella vostra debolezza».

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