Resinovich, per alcuni dei reperti al via il terzo accertamento genetico
Sacchi, cordino, bottiglia, slip già analizzati in passato ora finiscono sotto la lente dei periti del gip

In queste settimane i periti incaricati dalla gip Flavia Mangiante sono al lavoro alla ricerca di tracce di Dna, di impronte su tutto quello che è stato trovato il 5 gennaio 2022 nel boschetto dell’ex Opp addosso a Liliana Resinovich: abiti, sacchi, cordino, borsa, occhiali, scarpe.
Per alcuni dei reperti sarà la terza volta che finiscono sotto la lente di un professionista, visto che ad esempio i sacchi, il cordino, gli abiti, sono già stati oggetto di accertamenti sia nella prima che nelle seconda fase delle indagini, ovvero dopo che il gip aveva rigettato la richiesta di archiviazione del fascicolo, prescrivendo nella sua ordinanza nuovi accertamenti. Sei di questi erano di pertinenza della biologia forense.
Da lì, su incarico della Procura, erano scaturite le nuove analisi da parte del Gabinetto interregionale della Polizia scientifica. La relazione, con le conclusioni di quegli accertamenti, è stata depositata lo scorso anno. E a differenza delle analisi fatte in precedenza, compara le tracce di Dna trovate non solo con i profili genetici di Sebastiano Visintin, unico indagato per la morte della moglie Liliana, di Claudio Sterpin e di Salvatore Nasti, ma anche di Fulvio Covalero e Piergiorgio Visintin.
Uno dei quesiti chiedeva di effettuare un esame genetico di raffronto tra le tracce di Dna rinvenute sul cordino, nonché tra le stesse e le altre tracce di Dna miste rinvenute sugli slip, sotto le unghie, sulla bottiglietta trovata nella borsa della donna.
Bene, in sintesi, senza scendere in dettagli troppo scientifici, il confronto con i cinque profili maschili ha dato esito negativo, e in alcuni casi i profili analizzati sono risultati parziali, «di scarso utilizzo». In merito a quell’esigua quantità di profilo misto trovata sul cordino, nessuno dei cinque uomini presi in esame «può considerarsi co-contributore».
L’ispezione ha poi riguardato gli abiti che indossava Liliana. Partendo – così come ora hanno fatto anche i periti che stanno operando nell’ambito dell’incidente probatorio – dal giubbotto grigio. Va detto che nel corso degli esami la Polizia scientifica si è subito resa conto che, involontariamente, un operatore presente agli accertamenti ha contaminato quel reperto, manipolandolo e lasciando traccia del suo profilo genetico.
Sotto esame della Scientifica poi anche la maglia, i calzini, le scarpe, senza trovare alcun profilo genetico utile. Sui jeans sono state trovate due formazioni pilifere, e tre profili genetici misti a più contributori, utili a confronti ma che non corrispondono a quelli degli uomini coinvolti dell’accertamento.
Dalle tracce trovate sulla borsa nera che Liliana indossava a tracolla non è stato ricavato nessun profilo genetico utile. Stessa cosa per gli occhiali con le lenti scure, sull’orologio e sul pacchetto di fazzoletti di carta.
Poi ci sono i sacchi neri: su quello che avvolgeva gli arti inferiori, da una traccia è stato ottenuto un profilo misto ad almeno due contributori, c’è la presenza del cromosoma “Y”, maschile dunque, ma «con marcatori genetici parziali e non utili al confronto».
Sul sacco che avvolgeva la parte superiore di Liliana è stato trovato il Dna della vittima, ma risulta anche il contatto con uno o più soggetti maschili non sono identificabili e la Scientifica esclude anche possano fare riferimento ai cinque uomini presi in esame.
Quella relazione della Polizia scientifica ora rappresenta una base di partenza per i periti Paolo Fattorini, Chiara Turchi e Eva Sacchi, che stanno sottoponendo i reperti a approfondimenti genetici con sequenziamento ultramassivo (Ngs) nell'ottica della ricerca di terze persone coinvolte. —
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