Addio a Gui, l’amico più fedele di Moro Miotto: "Fu il padre della riforma scolastica del '62"
Nato a Padova il 26 settembre 1914, Luigi Gui fu eletto deputato all'Assemblea costituente. Democristino, negli anni Sessanta fu ministro della Pubblica istruzione, ministro della Difesa e, nel 1974, ministro della Sanità. La deputata Pd Margherita Miotto: "Ha garantito a tutti gli italiani l’istruzione scolastica obbligatoria e gratuita fino a 14 anni"

Luigi Gui
PADOVA.
Se ne va un padre della Repubblica, dell’Italia nata con la lotta di liberazione contro i nazi-fascisti, un cattolico erede della tradizione di don Sturzo e Dossetti che credeva nella scuola come fattore decisivo di crescita civile, l’alleato più «fedele» e silenzioso di Aldo Moro ucciso dal piombo delle Br nel 1978. Luigi Gui, morto lunedì sera all’età di 95 anni a Padova, non potrà assistere alla cerimonia che il 5 maggio a Genova-Quarto darà il via alle celebrazioni per i 150 dell’unità d’Italia.
E non soffrirà per i colpevoli ritardi del Governo che pare non riesca nemmeno a completare il monumento ai Mille. Ma questo Paese, oggi sedotto dalla tv con la melassa del mito del facile successo, ha un grande debito nei confronti dell’uomo che nel 1962, in pieno boom economico, decise di riformare l’istruzione: stop all’esame integrativo dopo la V elementare per accedere alle medie inferiori, addio per sempre all’avviamento professionale e tutti sui banchi fino a 14 anni. A studiare. A imparare a leggere e a scrivere. Senza discriminazione di razza, censo e sesso come recita la Costituzione. Quella riforma è ancora lì e se gli italiani tutti (veneti, lombardi o siciliani che dir si voglia) oggi non firmano più il modulo della pensione con una croce lo debbono solo a Luigi Gui.
Laureato alla Cattolica di Milano, era entrato in Parlamento nell’Assemblea costituente nel 1948 e aveva scelto Aldo Moro come leader: Padova, negli anni Cinquanta, era un baluardo della Dc. Sindaco Cesare Crescente, Gui aveva come alleati i senatori Luigi Carraro e Giuseppe Bettiol e il deputato Mario Saggin, anche lui partigiano. Una Dc schierata al fianco della Diocesi e vera anomalia in Veneto, dove invece regnava il doroteismo di Toni Bisaglia e Mariano Rumor, protoleghisti ante litteram al punto da vagheggiare una Dc modello Cdu-Baviera. Niente da fare, a Padova comandava Gui. Con i suoi allievi: Antonio Prezioso, Beniamino Brocca, Carlo Fracanzani e poi Margherita Miotto, che ieri alla Camera lo ha commemorato, commossa.
Sono da poche passate le 4 del pomeriggio quando Rosy Bindi comunica all’aula di Montecitorio la notizia del decesso dell’ex ministro e scoppia un applauso. Un minuto di silenzio e poi dà la parola a Margherita Miotto, deputata del Pd. «Piango un maestro, che ha segnato la scena politica, un cattolico vero che difendeva lo Stato laico. A lui dobbiamo gran parte dell’avanzamento civile e culturale del nostro Paese: è il padre della riforma della scuola secondaria di primo grado ed ha avviato anche la prima parte della riforma universitaria. Cinquanta anni dopo siamo ancora lì.
Gui fu una persona straordinaria che non ha esitato a parlare in tante assemblee con giovani e studenti per testimoniare i valori profondi della nostra Carta costituzionale. A quest’uomo dobbiamo molto: legato ad Aldo Moro e a Benigno Zaccagnini, lo ricordo oggi vicino a Romano Prodi e al Pd».
E il suo ruolo su Padova? «Decisivo», ribatte l’onorevole Miotto: «Gui aveva grande stima di Mario Volpato, preside di Sociologia a Trento, padre della Zip con Bentsik e della Cerved, la banca dati delle Camere di commercio. Loro fu anche l’idea dell’idrovia, purtroppo non completata». Da Stasburgo arriva un messaggio del senatore Paolo Giaretta. «Con Luigi Gui scompare uno degli ultimi esponenti della generazione dei parlamentari che ha dato al Paese una Costituzione saggia, punto di riferimento importante per la nostra democrazia e scompare oggi un grande gentiluomo della politica», afferma il senatore.
In serata rompe il lungo silenzio anche l’ex ministro Carlo Fracanzani: «Gui è stato un vero protagonista della storia del secondo Novecento. Amico fraterno di Aldo Moro è stato l’erede più autentico della lezione di Dossetti, dell’impegno dei cattolici al servizio della democrazia: l’Italia non sarebbe un grande e moderno Paese senza le sue riforme e la sua capacità di far dialogare i partiti di massa, per costruire larghe intese».
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