Casalesi a Eraclea, l’affondo dell’ex prefetto: «I ministri dovrebbero ascoltarci»

Vittorio Zappalorto, quando era prefetto, aveva chiesto al governo lo scioglimento del consiglio comunale di Eraclea: «La sentenza d’Appello ristabilisce la verità»

Mitia Chiarin
Vittorio Zappalorto, l’ex prefetto chiese lo scioglimento del Consiglio
Vittorio Zappalorto, l’ex prefetto chiese lo scioglimento del Consiglio

«I ministri dovrebbero ascoltare di più i prefetti in sede. Il ministero doveva fidarsi di chi vive e opera sul territorio. La sentenza restituisce credibilità a tutte le istituzioni locali: Prefettura, Procura, Forze di Polizia». Parola di Vittorio Zappalorto, ex prefetto di Venezia.

Da due anni si gode la meritata pensione. Ma fu lui il prefetto che si confrontò con l’inchiesta sui casalesi ad Eraclea e nel dicembre 2019 consegnò all’allora governo Conte II la richiesta di scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose.

Il resto è storia: l’ex ministro Lamorgese portò la questione all’esame del consiglio dei ministri ma non venne accolta la richiesta. Sarebbe stato il primo commissariamento di un Comune veneto per mafia.

Eraclea, la mafia c’era: la Corte d’Appello riconosce l’aggravante mafiosa. Tutte le condanne
A Eraclea c'è stata l'associazione mafiosa

Ora la sentenza di appello sancisce che ad Eraclea la mafia c'è stata. Zappalorto commenta la notizia con parole di rilievo. «La sentenza stabilisce una verità già presente in quel contesto sociale e istituzionale». E sul mancato sì allo scioglimento del Comune. «Il mancato assenso del ministero allo scioglimento indica quanto profonda è la distanza di Roma dalle dinamiche e dai fenomeni locali. Forse ci starebbe anche una norma che impedisca al ministero di intervenire su questi procedimenti in dissenso rispetto alle valutazioni dei prefetti», commenta oggi.

Il Veneto pare non voler ammettere di dover fare i conti con il fenomeno mafioso, chiediamo. Ma Zappalorto ribatte: «Non è il Veneto che non vuole fare i conti ma una parte della magistratura che sottovaluta la penetrazione delle cosche nel Nord est. Non è una novità. Successe anche in Lombardia e in Emilia a suo tempo». Parole chiarissime, nello stile dell’ex prefetto.

Per chi ha la memoria corta vale la pena ricordare che nel 2019 la Commissione d’accesso, nella sua dettagliata relazione, aveva individuato gli elementi che potevano portare allo scioglimento del consiglio comunale. Dopo l’accesso ispettivo disposto dalla prefettura, la Commissione d’accesso aveva lavorato per sei mesi per ricostruire i rapporti tra il clan di Luciano Donadio e l’amministrazione comunale di Eraclea, non solo con quella dell’ultimo sindaco Mirco Mestre, ma anche con quella dell’ex sindaco Graziano Teso, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Relazione che finì al governo, assieme all’indagine della Procura.

La Commissione era composta da un ufficiale della Guardia di Finanza, Domenico Frustagli, da un funzionario di polizia, Riccardo Sommariva, e presieduta dal vice prefetto Piera Bumma, e si concentrò sul Comune di Eraclea, ma anche sulle ramificazioni ben presenti negli altri comuni del litorale degli uomini del clan capeggiato dal boss dei Casalesi nel Veneto orientale, Luciano Donadio.

Da Caorle a Jesolo il clan lavorava cercando di infiltrarsi in aziende e appalti. Il sodalizio criminale era presente già alla fine degli Novanta, in contatto con la Mala del Brenta, per spartirsi il traffico e lo spaccio di droga. Organizzazione potente e capace, dissero i magistrati, di condizionare le «competizioni elettorali al fine di ottenere relazioni privilegiate con gli amministratori pubblici e utilità indebite».

Ancora: nel 2024 al primo processo venne depositato un verbale, secretato, della Prefettura di Venezia relativo a un comitato per l’ordine e la sicurezza del 2006. Era scattata l’allerta dopo l’incendio doloso dell’auto dell’allora segretario e consigliere di An, Adriano Burato, che fece cadere la giunta Teso.

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